Avv. Gabriele Mercanti
La Corte di Cassazione con la Sentenza n. 7821 della Seconda Sezione Civile depositata in data 16 aprile 2015 delinea le caratteristiche che deve rivestire il godimento di un bene al fine dell'usucapione.
La vicenda ha inizio il 28 luglio 2000 allorquando un Ente Religioso veniva convenuto in giudizio per ottenere il rilascio di un fabbricato adibito a sacrestia.
Detto Ente si costituiva in giudizio eccependo in via principale il difetto di legittimazione passiva (in quanto la donazione costituente il titolo di acquisto a suo favore non si sarebbe regolarmente perfezionata) ed in via riconvenzionale di aver comunque usucapito l'immobile (in quanto - nonostante il mancato perfezionamento della donazione - l'Ente ne avrebbe avuto la materiale disponibilità per oltre un ventennio).
In primo grado (1) veniva accolta la domanda riconvenzionale dell'Ente con conseguente accertamento dell'avvenuto trasferimento di proprietà a suo favore, mentre in appello (2) l'esito fu ribaltato per asserita inidoneità del potere di fatto sulla cosa ai fini dell'usucapione.
I Giudici del Palazzaccio in prima battuta sono stati chiamati a verificare le caratteristiche del presunto titolo di acquisto in capo all'Ente, titolo costituito da un atto di donazione datato 8 maggio 1961 cui non era seguita la notifica dell'accettazione da parte dell'Ente medesimo così come prevista dall'art. 782 secondo comma c.c..e la conclusione raggiunta dal S.C. è incontestabile: "La notificazione dell'accettazione della donazione - stabilita, dall'art. 782 c.c., comma 2, per i casi in cui proposta ed accettazione siano contenuti in atti distinti - costituisce, pertanto, requisito indispensabile per la perfezione del relativo contratto che, quindi, prima di essa non può considerarsi ancora concluso".
Ma dalla premessa di cui sopra ne è derivato, secondo gli Ermellini, che il godimento da parte dell'Ente fosse ricostruibile non come possesso ma come mera detenzione e, come tale, inidonea all'acquisto del cespite per maturata usucapione. Infatti ben diversa è la situazione di godimento di un cespite conseguente ad una donazione nulla rispetto ad una donazione inesistente in quanto non perfezionata: nel primo caso (3) si è in presenza di un titolo idoneo al trasferimento del possesso; nel secondo (4) si può parlare esclusivamente, invece, di animus detinendi.
Infine, i Giudici del S.C. rilevavano che non si era verificata a favore dell'Ente un'interversione del possesso idonea, appunto, a "trasformare" la detenzione in possesso, in quanto "l'interversione del possesso non può aver luogo mediante un semplice atto di volizione interna, ma deve estrinsecarsi in una manifestazione esteriore, dalla quale sia consentito desumere che il detentore abbia cessato di esercitare il potere di fatto sulla cosa in nome altrui e abbia iniziato ad esercitarlo esclusivamente in nome proprio … Tale manifestazione deve essere rivolta specificamente contro il possessore, in maniera che questi sia posto in grado di rendersi conto dell'avvenuto mutamento, e quindi tradursi in atti ai quali possa riconoscersi il carattere di una concreta opposizione all'esercizio del possesso da parte sua". (5)
E' stato così confermato il verdetto di secondo grado e l'Ente è stato condannato a restituire il bene.
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(1) Cfr. Tribunale di Modica del 30.06.2004
(2) Cfr. Corte d'Appello di Catania n. 777/2009.
(3) Cfr. conforme Cass. n. 9.090/2007.
(4) Cfr. conforme Cass. n. 5.550/1996.
(5) Cfr. conforme Cass. n. 6.237/2010
Cassazione Civile, testo sentenza 7821/2015