di Marina Crisafi - Non può inquadrarsi nel reato di sottrazione di minore la condotta del genitore che non coinvolge l'altro nelle scelte relative alla vita del figlio. Lo ha stabilito la Cassazione, con sentenza n. 25257 pubblicata ieri (qui sotto allegata), assolvendo una madre dalla condanna per il reato ex art. 574 c.p. perché il fatto non sussiste.
Oltre a tale contestazione, alla donna erano state mosse diverse accuse per la mancata esecuzione dolosa di provvedimenti del giudice, tutte cadute per mancanza di querela o perché il fatto non sussiste. Restavano in piedi soltanto i reati di cui all'art. 388, comma 2 e 574 c.p., legati dal vincolo della continuazione.
Per il primo, la condotta ascritta all'imputata, relativa al mancato ripristino del collocamento della bimba presso il padre che era stato colpito da ictus, veniva giudicata dalla stessa corte territoriale, irrilevante sul piano penale, in quanto compiuta nell'interesse prevalente della minore (tanto che in seguito la bambina viene affidata prevalentemente alla madre).
Quanto al secondo reato, la responsabilità dell'imputata veniva invocata non già per aver ritenuto la figlia contro la volontà dell'altro genitore in violazione del pertinente provvedimento giudiziale, bensì per aver tenuto lo stesso all'oscuro dei fatti che riguardavano la vita della minore.
Non venivano prese in considerazione le doglianze della donna che asseriva che la mancanza iniziale degli incontri tra la bimba e il padre (avvenuti in un tempo differito e con interruzioni) non erano addebitabili ad un suo comportamento ma unicamente al ritardo dei servizi sociali.
Decisivo appare sulla questione l'intervento della Cassazione, secondo la quale, dall'analisi della vicenda, non solo si è in presenza di una non consentita immutatio facti, ma sia preclusa la stessa configurabilità delle condotte tipiche della fattispecie incriminatrice di cui all'art. 574 c.p.
"Tenere il padre all'oscuro della vita della figlia e non coinvolgerlo nelle scelte a questa relative - ha affermato infatti la S.C. - risulta irrimediabilmente esorbitante rispetto a quella fattispecie", tenuto conto che le pronunce di assoluzione e improcedibilità per i reati di cui all'art. 388 c.p. non sono state impugnate e sono diventate definitive.
Per cui, in conclusione: annullata senza rinvio la sentenza relativamente all'imputazione di cui all'art. 574 c.p. perché il fatto non sussiste e parola ad altro giudice soltanto per la rideterminazione della pena in relazione alla parte residua del reato ex art. 388, comma 2, c.p.
Scarica la sentenza n. 25257/2015