di Marina Crisafi - Se l'atto introduttivo del giudizio redatto dal legale è poco chiaro, tanto da non far emergere la stessa causa petendi, lo stesso è tenuto a risarcire il proprio assistito per i danni derivanti dalla negazione del diritto di difesa. Lo ha stabilito una recente sentenza del Tribunale di Ivrea (n. 11/2015), accogliendo (anche se solo in parte) il ricorso di una ex cliente nei confronti del proprio avvocato, per non aver adempiuto all'incarico conferito relativo alla promozione di un'azione tesa ad ottenere l'annullamento di un testamento olografo.
L'inadempienza del professionista, in base a quanto sostenuto dalla ricorrente, consisteva nella redazione di una domanda introduttiva del giudizio talmente contraddittoria, da non far emergere se l'azione fosse finalizzata ad impugnare il testamento oppure a far annullare le disposizioni del de cuius nei confronti di altro erede, e di conseguenza da farle perdere la causa.
Per il tribunale la donna ha in parte ragione.
Ai fini della sussistenza della responsabilità dell'avvocato, ha affermato infatti il giudice piemontese, non è sufficiente il mero non corretto adempimento dell'attività professionale, ma occorre dimostrare che il danno lamentato dal cliente sia riconducibile alla condotta del professionista e che, laddove questi "avesse tenuto il comportamento dovuto, il suo assistito, alla stregua di criteri probabilistici, avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni".
E nel caso di specie, l'errore addebitabile al legale è tale da rendere "del tutto inutile l'attività difensiva precedentemente svolta, dovendosi ritenere la sua prestazione totalmente inadempiuta e improduttiva di effetti in favore dell'assistito".
Ne consegue che lo stesso non ha diritto ad alcun compenso e dovrà restituire la somma ricevuta, a tale titolo, sotto forma di risarcimento del danno all'ex cliente.
Non passa, invece, la richiesta di risarcimento relativa alla somma corrisposta dalla donna al notaio per la pubblicazione del testamento olografo: tale spesa, infatti, non è riconducibile all'inadempimento del legale, poiché non è stato dimostrato "il nesso eziologico" tra la condotta dello stesso e il risultato derivatone.
Per cui, in definitiva, l'avvocato dovrà "restituire", a titolo di risarcimento, 8mila euro all'ex cliente.