Un acceso dibattito giurisprudenziale anima la "vexata quaestio" del riparto di giurisdizione in tema di sovvenzioni pubbliche , in particolare post revoca dell' atto concessorio del contributo.
Tradizionalmente il riparto di giurisdizione, tra giudice ordinario ed amministrativo avviene tenendo presente la " causa petendi", la posizione che connota l'interesse del privato in termini di interesse legittimo o diritto soggettivo.
Normalmente il giudice dei diritti soggettivi è quello ordinario e quello degli interessi legittimi è quello amministrativo, salvo giurisdizioni esclusive, in materie ben determinate.
Preliminarmente, in materia di contributi pubblici bisogna individuare se le norme che attribuiscono alla PA il potere di concederli, faccia residuare in capo alla stessa poteri discrezionali ,circa "an,quantum e quomodo" oppure se la PA detenga un potere molto dettagliato, circoscritto dalla legge istitutiva del potere e pertanto debba solo verificare la sussistenza a o meno di determinati requisiti in capo al soggetto richiedente.
Per una parte, in verità minoritaria, della giurisprudenza (sia civile che amministrativa) l'intera materia potrebbe rientrare nella giurisdizione del GA ai sensi e per gli effetti dell'art. 133 c.p.a. , per un duplice ordine di fattori, una sorta di riconducibilità ermeneutica delle sovvenzioni pubbliche alla categoria della "concessione di beni pubblici" o in quella degli accordi ex art. 11 L. 241/90 che intercorrono tra PA e privato.
Partiamo dal caso, affatto negletto, del rifiuto da parte della PA di concedere un contributo richiesto, tale fase, necessariamente precede una successiva ed eventuale, di pura erogazione, ed è certamente connotata dal perseguimento e cura del pubblico interesse , per cui difficilmente potrà essere del tutto vincolata ai paletti posti dalla legge istitutiva del potere, seppur in misura attenuata, è plausibile sia caratterizzata da un "agere" amministrativo discrezionale che genererà una corrispondente posizione di interesse legittimo del privato e la correlata giurisdizione del GA.
In alcuni casi, in verità residuali, però anche questa attività potrebbe essere fortemente vincolata e circoscritta, pertanto la giurisdizione potrebbe radicarsi dinnanzi al GO, a tal riguardo non è da sottacere che la giurisprudenza amministrativa, maggioritaria in argomento, ritiene che anche nella c.d. "attività vincolata" la PA eserciti comunque un potere amministrativo autoritativo che fa residuare, nella sfera giuridica del privato, solo una posizione di interesse legittimo.
L'atto di secondo grado che potrebbe "demolire" il beneficio già concesso al privato, interviene in una fase posteriore alla concessione del contributo pubblico, fase connotata dalla presenza in capo ad entrambe le parti (pubblica e privata) di obblighi, ritenuti di stampo privatistico da dottrina e giurisprudenza maggioritarie , spesso veicolati dalla presenza di un contratto, si tratta infatti di una fase meramente esecutiva.
Pertanto se il ritiro del contributo, già concesso ed erogato, trova origine in un potere di natura pubblicistica, esercitato ai fini della legittimità e della rispondenza all' interesse pubblico originariamente perseguito dall' azione amministrativa, il privato non potrà che vantare un interesse legittimo (oppositivo), con susseguente competenza del GA, se al contrario in tale fase "esecutiva", la rimozione dell'atto non è legata alla sua legittimità o opportunità, ci si trova difronte ad un diritto soggettivo che viene tutelato dal suo giudice naturale, il G.O.
In argomento si contendono il campo tre tesi, di cui le prime due, più nette e radicali, sostengono la giurisdizione, alternativamente del GO o del GA, ancorandola unicamente alla natura dell' interesse leso "tout court", ma risultano sia in dottrina che in giurisprudenza minoritarie , la terza tesi, da sempre prevalente presso i giudici, è stata da ultimo confermata ed esaminata proprio dall' Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nella decisione n. 6 del 2014, di cui si discute.
Per tale terza tesi, c.d. anche "tradizionale", la posizione giuridica del privato sarebbe strettamente collegata alla finalità che con l'atto amministrativo di revoca o annullamento si intende perseguire, se riguarda la legittimità o una rivalutazione dell'opportunità dell'atto, rispetto all'iniziale interesse pubblico perseguito e non eventuali inadempimenti del privato, si radica la giurisdizione del GA , poiché la situazione giuridica si appalesa in termini di interesse legittimo, al contrario, se tale ripensamento della PA è legato ad un inadempimento del privato, l'atto di secondo grado, assume contorni privatistici e pertanto la posizione del privato è qualificabile in termini di diritto soggettivo con giurisdizione del GO .
Segnaliamo che tale orientamento, differenziato, in base alla finalità dell'atto di ritiro, è ormai consolidato sia nella giurisprudenza ordinaria ( ex multis Cass. N.11/2007 e 1776/2013) che amministrativa ( per tutte cfr. C.d.S.7998/2010).
Il vivace dibattito sembra giunto ad una definitiva composizione, proprio con la decisione in commento, con cui il Collegio ha affermato "expressis verbis" che si radica sempre la giurisdizione del GO, quando il finanziamento è riconosciuto direttamente dalla legge e l'attività della PA è completamente vincolata, se la controversia riguarda una fase precedente e discrezionale di attribuzione del beneficio, o se una volta attribuito, lo stesso venga poi revocato per questioni inerenti la legittimità o un contrasto col fine pubblico che "ab origine" intendeva perseguire e non per inadempimenti del beneficiario, allora si radicherà la competenza del GA, qualora ferma la legittimità del provvedimento amministrativo di concessione, il ritiro "latu sensu" costituisca solo una sorta di reazione all'inosservanza da parte del beneficiario degli obblighi dallo stesso assunti con la concessione, lo stesso avrà il carattere di un'autotutela di matrice privatistica e pertanto la posizione di diritto soggettivo del privato incardinerà la competenza del GO.
Nella stessa interessante pronuncia si stabilisce che non potrebbe essere richiamato a sostegno della tesi della giurisdizione esclusiva del GA l'art. 12 L. 241/90 , poiché la concessione di denaro pubblico non è equiparabile a quella di beni pubblici , appaiono fattispecie distinte e separate, nelle finalità e negli effetti, permanenti per la prima e temporanei per la seconda, anche a volerle accostare a cio' osterebbe il dettato dell' art. 133 c.I del c.p.a. che esclude dal suo ambito applicativo le controversie su " indennità, canoni ed altri corrispettivi" .
Mail:gildasummaria1@virgilio.it - Legalmail: avvgildasummaria@pec.giuffre.it