Con la sentenza della Corte di cassazione n. 13568/2015 fa capolino nel nostro ordinamento una nuova declinazione di danno esistenziale: quella generata dall'"ansia da lavavetri".
O meglio: sarà il giudice amministrativo a doverne stabilire la rilevanza.
L'ansia e il disagio che possono derivare agli automobilisti dalla presenza dei lavavetri ai semafori, secondo la Corte, pur non relazionandosi con un diritto soggettivo del cittadino, potrebbero scontrarsi con un interesse legittimo all'adozione da parte dei Comuni di provvedimenti contingibili e urgenti che tutelino l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana.
L'automobilista di Udine che ha sollevato la questione dinanzi al Giudice di Pace del capoluogo friulano riteneva, riferendosi all'art. 2051 c.c., che i lavavetri avrebbero dovuto essere considerati pericoli e insidie tali da compromettere la sicurezza e la fluidità del traffico, equiparabili al "tronco caduto sull'asfalto", ma gli Ermellini, confermando la posizione del Tribunale, hanno stabilito che nei confronti della richiesta di aiuto e del mendacio non può essere ritenuto operante l'obbligo di pulizia delle strade che grava sull'ente proprietario delle stesse, ma semmai quello di ostacolarli mediante l'adozione di apposite misure.
L'eventuale danno subito dall'ansioso automobilista, quindi, non deriverebbe dall'omessa custodia della strada da parte dell'ente proprietario, quanto dal mancato esercizio da parte del Comune di poteri autoritativi.
Ecco dunque che il T.A.R. viene investito dell'oneroso compito di stabilire se e quali danni possono derivare al cittadino automobilista fruitore di strade pubbliche dall'ansia e dal disagio causati dalla presenza dei lavavetri nei pressi dei semafori.
Qui sotto il testo della Sentenza.
Sezioni Unite testo sentenza 13568/2015