di Marina Crisafi - Il lavoratore che beneficia della legge 104 per l'assistenza a un parente (o affine) entro il terzo grado portatore di handicap grave non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede.
Ma tale diritto (che non può subire limitazioni se la mobilità è connessa alle ordinarie esigenze tecnico-produttive dell'azienda o della P.A.), mentre non è tutelato "ove sia accertata, in base ad una verifica rigorosa anche in sede giurisdizionale, l'incompatibilità della permanenza del lavoratore nella sede di lavoro".
È quanto emerge, in sintesi, dalla recente sentenza n. 15081/2015 (qui sotto allegata), con la quale la Cassazione, pronunciandosi sulla vicenda di una lavoratrice di Poste Italiane ha parzialmente accolto le istanze della società avverso la decisione della Corte d'Appello di Caltanissetta che aveva annullato il trasferimento della donna da una sede di lavoro all'altra in quanto beneficiaria della tutela accordata dall'art. 33 comma 5 della l. n. 104/1992 poiché assisteva con continuità la madre invalida.
Pur confermando che l'interesse della persona handicappata si pone "come limite esterno del potere datoriale di trasferimento, quale disciplinato in via generale dall'art. 2103 c.c., prevalente sulle ordinarie esigenze produttive e organizzative del datore di lavoro", la S.C. ha affermato, infatti, che laddove risultino accertate, in base ad elementi probatori rigorosi, situazioni di incompatibilità della permanenza del lavoratore nella sede di lavoro può venir meno la limitazione di cui all'art. 33, comma 5, l. n. 104/1992.
Nel caso di specie, tali situazioni sono state escluse dalla corte territoriale, per cui va confermata, secondo la Cassazione, l'illegittimità del trasferimento della lavoratrice adottato in assenza di elementi oggettivi integranti una vera e propria "condizione di necessità" e dunque idonei a far venir meno il diritto della donna a non essere trasferita senza il suo consenso.
Tuttavia, piazza Cavour ha affrontato anche l'aspetto specifico delle mansioni cui la lavoratrice doveva essere adibita a seguito dell'accertamento della nullità del trasferimento. Nella sede originaria infatti, come accertato in appello, erano presenti due posti vacanti di sportellista, ruolo differente da quello di usciere, precedentemente assegnato alla donna, ma comunque rientranti nella sua area operativa.
Ciò, però, lamentava Poste, significava adibire illegittimamente la lavoratrice, senza tenere conto dell'effettiva professionalità dalla stessa raggiunta, a mansioni nuove e superiori rispetto a quelle originarie.
Per cui, sotto tale profilo, ha concluso la S.C., la sentenza va cassata sul punto dell'individuazione delle mansioni, senza incidere sulla permanenza della lavoratrice nella sede di lavoro originaria. Parola, dunque, al giudice di rinvio.
Cassazione sentenza n. 15081/2015