La pronuncia tanto attesa delle sezioni unite della Cassazione in merito al danno tanatologico alla fine è arrivata, lasciando dietro di sé scontentezza e malumori.
Con la sentenza n. 15350/2015 del 22 luglio, di cui si è già data notizia in questo portale (V. Danno da PERDITA DELLA VITA - Ecco la sentenza! L'occasione persa delle Sezioni Unite n. 15350 del 22.7.2015) i giudici del palazzaccio hanno fatto dietro front rispetto alla innovativa sentenza n. 1361 del 23 gennaio 2014 emessa dalla terza sezione e confermata dall'ordinanza n. 5056 del 4 marzo 2014: la perdita del bene della vita non è più, per la Corte, oggetto di un diritto assoluto e inviolabile, in quanto tale risarcibile senza che sia necessaria la consapevolezza da parte del danneggiato/vittima.
Oggi, chiudendo un contrasto che è durato oltre un anno, le Sezioni Unite affermano infatti che il danno che deriva dal decesso immediato o, comunque, dal decesso che non sia preceduto da agonia non è risarcibile: mancherebbe il de cuius e non potrebbe essere invocato un risarcimento del danno iure hereditatis.
Il presupposto è che la vita e la salute sono entità distinte e in quanto tali vanno distintamente tutelate: la vita, infatti, costituirebbe un bene autonomo, fruibile solo in natura e solo da parte del titolare e insuscettibile di essere reintegrato per equivalente, e la morte non rappresenterebbe la massima offesa possibile del diverso bene salute.
Secondo la Corte, quindi, una perdita rappresenta un danno risarcibile solo se riguarda un soggetto in grado di far valere un credito risarcitorio, credito che non può essere riconosciuto nel caso di morte verificatasi contestualmente o immediatamente dopo rispetto alle lesioni personali.
E tale conclusione è suffragata da una minuziosa (e da molti contestata) analisi demolitoria di tutte le argomentazioni in senso contrario diffuse tra gli interpreti.
In sostanza il punto è stato messo: per la Corte di cassazione non c'è danno se le lesioni e la morte sono contestuali o in immediata successione.
Qui di seguito il testo integrale della sentenza.
Sezioni Unite, sentenza n. 15350/2015