La questione investe, infatti, uno degli snodi fondamentali del processo, non esclusi, però, gli aspetti imponenti dei margini di ammissibilità dei nova di cui all'art. 345 c.p.c..
E, quindi, abbraccia di lato anche il grado di impugnazione ove rileviamo un esplicito divieto.
Cosa che non troviamo nella struttura dell'art. 183 c.p.c..
Ordunque, per i graditi visitatori di LIA Law In Action sfoglieremo la pronuncia foglia a foglia come si fa con i carciofi, dal principio, ab imis.
Tizio e Caio citano in giudizio Sempronio avanti al Pretore di Forlì - Sez. Dist. di Cesena perché, nonostante gli abbiano inviato diffida in tal senso, non si è presentato davanti al notaio per la stipula del contratto definitivo di compravendita di un terreno; chiedono la pronuncia di sentenza producente, a mente dell'art. 2932 c.c., l'effetto del trasferimento della proprietà fondiaria in questione, con riserva di una servitù concordata a favore del convenuto.
Viene accordato il termine ex art. 183 c.p.c., comma quinto, nella versione allora vigente della quadruplice scansione in combinato con l'art. 184 c.p.c. dell'epoca.
La sostanza per i fini che presentemente occupano non cambia anche se di riforme ne sono passate anche troppe sotto gli scassati ponti della Giustizia.
Felice davvero l'accostamento all'art. 345 c.p.c. ma anche all'art. 189 c.p.c. ove l'Autrice, che anche in sede convegnistica mostra autentica, condivisibile venerazione per la coerenza di sistema, rinviene preziosi elementi di raffronto per giungere alla sintesi.
Gli attori, non potendo sapere che la questione sarebbe finita addirittura nella camera di consiglio del 27 gennaio 2015 sul tavolo delle Sezioni Unite, 15 giugno 2015, n. 12310, Pres. f.f. Luigi Antonio Rovelli, Presidenti di Sezione Giuseppe Salmè e Renato Rordorf e Relatrice Camilla Di Iasi, con la memoria autorizzata ai sensi per l'appunto dell'art. 183 c.p.c. modificarono l'originaria domanda chiedendo la pronuncia di sentenza dichiarativa dell'avvenuto trasferimento del bene immobile, sul rilievo che il contratto doveva reputarsi definitivo.
Il Tribunale di Forlì accolse la domanda come riformulata e la Corte di Appello di Bologna confermò la pronuncia di prime cure.
In particolare, la Corte petroniana ritenne che la domanda di pronuncia dichiarativa dell'avvenuto trasferimento della proprietà dell'immobile avanzata dopo la richiesta di sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c., ancorata al medesimo contratto diversamente qualificato, rappresentasse una mera specificazione dell'originaria pretesa: emendatio libelli.
Che cosa è l'emendatio?
Una definizione immediata consiste in negativo nel non essere una mutatio!
Di certo, ex art. 189 c.p.c. le parti possono sicuramente cambiare le domande e le conclusioni formulate negli atti introduttivi.
Ricordiamo che con l'atto di citazione era stata chiesta l'esecuzione specifica dell'obbligo di contrarre in relazione al medesimo terreno.
Ma le due domande sono differenti per petitum e causa petendi?
Il passaggio dall'una all'altra (domanda di pronuncia dichiarativa dell'avvenuto trasferimento) costituisce, secondo la famosa endiadi, emendatio libelli oppure mutatio libelli?
Si tratta della nota coppia retorica e della connessa convinzione di ammissibilità della prima ed inammissibilità della seconda, stando ad un mantra ripetuto all'infinito senza preventiva ricognizione e condivisione di significato.
Sussiste davvero tale modificabilità ammessa dai giudici emiliani di merito?
Si tratta dell'accertamento di due fatti diversi, la comune intenzione dei contraenti mirata, in un caso, a un contratto ad effetti obbligatori, in un altro caso, ad un contratto ad effetti reali.
Diversità mica da poco!
L'accertamento, inoltre, viene espanso dalla mera ermeneutica contrattuale (scrittura privata) alla valutazione del comportamento complessivo delle parti contraenti ai sensi dell'art. 1362 c.c.: quindi, un petitum differente inteso come provvedimento invocato: una sentenza di accertamento dell'avvenuto effetto traslativo.
Differente anche il petitum sostanziale: il famigerato bene della vita conteso.
Il bene della vita, quando oggetto di vertenza è l'esistenza di un titolo astrattamente idoneo al trasferimento dell'immobile, finisce per essere il tempo, non l'immobile.
Il diverso momento in cui avviene il trasferimento.
Questo il contrasto.
La Sez. II, con ordinanza interlocutoria 2096/2014, depositata il 30 gennaio 2014 dal Cons. Aldo Cerrato della Sez. II, ha sollecitato l'investitura nomofilattica e compositiva delle Sezioni Unite.
Già nel 1996 con la sentenza n. 1731 le Sezioni Unite affrontarono la questione risolvendo il contrasto propendendo per l'orientamento minoritario: costituisce domanda nuova vietata la richiesta di una sentenza che accerti l'avvenuto effetto traslativo dopo che sia stata in precedenza chiesta pronuncia costitutiva a mente dell'art. 2932 c.c., trattandosi di domande diverse per il petitum e la causa petendi.
Ovviamente il ricorrente la invoca a sostegno delle proprie ragioni, certissimo della vittoria in sede di legittimità.
È preventivabile - nella sua ottica - che la Cassazione non potrebbe mai smentire sé stessa nella composizione estesa.
Per contro, l'orientamento allora maggioritario ma non condiviso dagli Ermellini di Piazza Cavour opinava che il thema decidendum rimanesse circoscritto all'accertamento dell'esistenza di uno strumento giuridico idoneo al trasferimento della proprietà.
Identico il bene immobile, identica la causa petendi, costituita dal contratto, di cui si prospetta soltanto una diversa qualificazione giuridica.
Sono sincero: ad una prima lettura... a braccio, a mio sommesso modo di interpretare le norme di sistema del c.p.c. la questione è talmente solare se così impostata che non servirebbe altro per propendere per quest'ultimo avviso.
La coerenza dell'intero sistema è nevralgica nelle pronunce in materia processuale!
Quindi, lo jus variandi esercitato anche sotto la forma della mutatio, alle condizioni sotto descritte, dovrebbe essere sempre permesso entro la barriera preclusiva dell'art. 183 c.p.c. che ha contemplato in nuce tale opzione.
Dopo la pronuncia delle Sezioni Unite del 1996 non esisteva ancora la regola dello stare decisis per le Sezioni semplici, ora aggiunta all'art. 374, penultimo comma, c.p.c., con Decreto Legislativo n. 40/2006, ma le Sezioni semplici, se si eccettuino sporadici ed isolati casi, si sono egualmente adeguate anche con esegesi inversa, vale a dire con modifica dell'iniziale domanda di accertamento del contratto di compravendita in domanda di esecuzione coattiva di un contratto preliminare.
La questione - lo abbiamo preannunciato nell'esordio - implica uno degli snodi fondamentali del processo, non esclusi gli aspetti imponenti dei margini di ammissibilità dei nova.
Un significativo e qualificante crocevia del processo.
Una ricostruzione del sistema con le corrispondenti opzioni esegetico-valoriali, implicite od esplicite che siano!
Passaggi logici obbligati della decisione.
Enunciati essenziali del ragionamento, presupposti logici per la soluzione del caso.
Ambiguità e contrasti espressi o silenti.
Pertanto, per la coerenza di sistema il contrasto è di portata più ampia di quel che appare ad una prima lettura.
Ricordiamo che la giurisprudenza è univoca e tetragona nell'affermare l'ammissibilità delle sole modificazioni della domanda introduttiva che costituiscono semplice emendatio libelli, ravvisabile quando non si incide né sulla causa petendi, né sul petitum.
Se la pretesa è obiettivamente diversa, si è al cospetto di una mutatio, un inammissibile cambiamento che pone al giudice un nuovo tema d'indagine, spiazza l'avversario ed altera il regolare svolgimento del processo.
Tra le più recenti in proposito si ricordano Cass. 1585/2015, 12621/2012, 17457/2009, 17300/2008, 21017/2007 e 9247/2006.
La realtà retrostante è molto frastagliata, più dell'apparente uniformità di principio.
Sono allora ammissibili domande nuove?
La risposta delle Sezioni Unite 12310/2015 è in certo qual modo sorprendente, seppur per noi condivisibile.
Infatti, nel tempo non sono certo mancati equilibrismi teorici e rivisitazioni spintesi a reputare in sostanza ammissibili anche domande che presentavano mutamenti in ordine agli elementi identificativi di causa petendi e petitum.
Un esempio, portato proprio dalla pronuncia in disamina, è offerto da Cass. 20899/2013 ammissiva di una modifica dell'iniziale domanda di risoluzione per inadempimento consistente nell'aggiunta di subordinata di adempimento del contratto.
Vi si ravvisò mera emendatio.
Si tratta di Cass. Civ., Sez. III, 12 settembre 2013, n. 20899, Pres. Giuseppe Maria Berruti, Rel. Roberta Vivaldi.
"Ne deriva che la formulazione, nello stesso giudizio, della domanda di adempimento, in via subordinata rispetto a quella di risoluzione, deve ritenersi consentita".
La modifica venne proposta alla prima udienza di trattazione del 10 maggio 1999, così integrando le conclusioni rassegnate nell'atto di citazione.
La S.C. accolse il ricorso limitatamente a questo primo motivo, dichiarando assorbiti il secondo ed il terzo.
Pare un dedalo inestricabile per il profano:
a) domande nuove, quindi teoricamente ed implicitamente vietate,
b) domande precisate, quindi ammesse, è intuitivo perché le domande non hanno risentito modificazioni nei loro elementi costitutivi, bensì, per l'appunto, pure e semplici precisazioni, lo dice la parola stessa chioserebbe il Ferrini di Renzo Arbore,
c) domande modificate, quindi espressamente ammissibili, ma con ardua criticità (voglio adoperare un termine che aborro).
È concepibile una modificazione che non si riduca ad una semplice precisazione?
È immaginabile una modifica che non incida neppure marginalmente sugli elementi identificativi della domanda?
Quali principi portano, dunque, le Sezioni Unite a ribaltare il responso di quasi vent'anni prima?
Li elenchiamo rapidamente perché la pronuncia parla da sé tant'è analitica nella sostanza e limpida anche nella forma.
Il terzo aspetto merita la ribalta nella struttura dell'art. 183 c.p.c. come ricostruita al più alto livello giurisprudenziale.
Infatti, secondo le Sezioni Unite del 2015 "la norma in esame non prevede limiti né qualitativi, né quantitativi alla modificazione ammessa e che in nessuna parte della norma suddetta è dato riscontrare un (esplicito o implicito) divieto di modificazione - in tutto o in parte - di uno degli elementi oggettivi di identificazione della domanda".
Orbene, la divergenza tra le domande nuove vietate e le domande modificate espressamente consentite non consiste nel fatto che in queste ultime le modifiche non possono incidere sugli elementi identificativi, bensì nel fatto che le domande modificate non possono essere reputate nuove nel senso di ulteriori o aggiuntive, trattandosi pur sempre delle stesse domande iniziali modificate, eventualmente anche in alcuni elementi fondamentali, o, se si vuole, di domande diverse che, però, non si aggiungono a quelle iniziali, ma vi subentrano.
Nel sostituirle si pongono in un rapporto di alternatività rispetto a queste.
Così non sono nuove.
In pratica, con la modificazione della domanda originaria l'attore implicitamente rinuncia alla pregressa domanda e mostra all'evidenza di considerare preferibile per i suoi interessi la domanda come modificata.
In tal modo, la domanda corrisponde meglio ai desideri dell'istante rispetto alla vicenda sostanziale ed esistenziale.
Per contro, la teoria delle modificazioni incidenti solo sulla qualificazione giuridica del fatto costitutivo inizialmente dedotto non convince.
Infatti, non si giustificherebbe un termine di trenta giorni per controdedurre per un adempimento che non meriterebbe tale previsione di garanzia.
Addirittura, una diversa qualificazione giuridica del fatto è permessa ed ammissibile persino nel corso dei giudizi di impugnazione!
E sia ad opera della parte che su iniziativa officiosa del giudice, senza alcuna necessità di una norma che autorizzi a tanto.
Le Sezioni Unite hanno, quindi, respinto il ricorso ritenendo ammissibile la modificazione della domanda iniziale di esecuzione specifica dell'obbligo di concludere un contratto in domanda di accertamento dell'avvenuto effetto traslativo.
Questa la massima di LIA:
"La modificazione della domanda ammessa a norma dell'art. 183 c.p.c. può riguardare anche uno o entrambi, petitum e causa petendi, gli elementi identificativi della pretesa sul piano oggettivo, sempre che la domanda stessa sia stata modificata in modo da risultare connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio e senza che per ciò si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte ovvero l'allungamento della tempistica processuale".
Sezioni Unite, testo ordinanza 12310/2015