Secondo la Cassazione, prima di assolvere il medico è necessario un doveroso e puntuale giudizio controfattuale che dimostri la mancanza di colpa

di Lucia Izzo - In mancanza di un giudizio controfattuale in relazione al complessivo quadro clinico, il giudice non potrà assolvere il medico che ha violato il protocollo prescritto dimettendo il paziente affetto da grave patologia cardiaca senza aver effettuato ulteriori esami, causandone così il successivo decesso per infarto. 


Queste le conclusioni che la Corte di Cassazione, IV sezione penale, ha adottato con la sentenza n. 35528/2015 (qui in allegato), originata dal ricorso proposto dagli eredi di un uomo morto d'infarto dopo essere stato dimesso dall'ospedale dal responsabile del Pronto Soccorso.


Il medico veniva condannato per omicidio colposo dal Tribunale di Modica poiché colpevole di aver effettuato sul paziente, ricoverato per dolore toracico, solo un elettrocardiogramma, disponendone la successiva dimissione. 

L'imputato, secondo le disposizioni del protocollo d'urgenza  delle associazioni mediche, avrebbe dovuto tenere il paziente in osservazione al fine di effettuare ulteriori accertamenti.  

Affetto da una grave malattia cardiaca, l'uomo moriva il giorno successivo all'atto di un secondo ricovero. 


Le conclusioni, a cui giungono i giudici di prime cure, è che l'osservazione del prescritto protocollo avrebbe avuto elevate possibilità di evitare il decesso per insufficienza cardio-respiratoria, come emerso dalle risultanze peritali. Di qui il verdetto di condanna.


Di tutt'altro avviso i giudici d'appello, che assolvevano l'uomo rilevando la mancata dimostrazione del nesso causale tra condotta omissiva ed evento. 


Ma secondo gli Ermellini la sentenza d'appello è da rifare.


La Corte territoriale, nell'escludere l'addebito di responsabilità avrebbe "omesso un adeguato approfondimento riguardo alla successione dei tempi di decorso della malattia e alle modalità dell'operato del sanitario" necessario per poter verificare, con elevato grado di credibilità razionale ed escludendo decorsi causali alternativi, se, tenendo la condotta omessa, l'evento non si sarebbe verificato o sarebbe avvenuto con minore intensità lesiva o comunque molto tempo dopo.  


Mancherebbe, in sostanza, "un giudizio controfattuale in relazione al complessivo quadro clinico, anche prescindendo dall'ipotesi dell'infarto alternativa a quella dell'aritmia ventricolare maligna e tenendo presente quest'ultima, al fine di verificare se anche in presenza di tale patologia l'adesione alle prescrizioni delle linee guida avrebbe consentito di monitorare la complessiva situazione clinica del paziente e di intervenire tempestivamente in senso risolutivo". 


Un giudizio controfattuale che, per i giudici di legittimità, s'imponeva in ragione della doverosità della condotta omessa, che pacificamente rientrava nelle linee guida accreditate presso la comunità scientifica in quanto idonee per il medico, a seguito del ricovero e degli specifici accertamenti suggeriti, di effettuare una diagnosi differenziale e di intervenire in modo adeguato ed eventualmente risolutivo in relazione alla patologia assunta quale causa del decesso. 


La sentenza d'appello risulta pertanto carente e illogica, soprattutto considerando l'obbligo di motivazione rafforzata che grava sul giudice d'appello che riforma integralmente la sentenza di primo grado, e va dunque annullata con rinvio al giudice civile competente. 



Cass., IV sez. Penale, 35528_2015

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