di Marina Crisafi - Ha diritto ai domiciliari il detenuto che ha una bimba piccola da accudire, data l'impossibilità della moglie, gravemente ammalata. Lo ha stabilito la sesta sezione penale della Cassazione, con la sentenza n. 35806/2015, depositata l'1 settembre scorso (qui sotto allegata), bacchettando il tribunale della libertà di Reggio Calabria che aveva rigettato l'istanza del detenuto di sostituzione della custodia cautelare in carcere con altra misura meno afflittiva, solo sulla base della relazione della CTU alle cui conclusioni si era "acriticamente" adeguato.
È vero che il comma 3 dell'art. 275 c.p.p. impone la custodia cautelare in carcere laddove si proceda per determinati reati, ha affermato la Corte, ma su questo prevale "per ineludibile scelta del legislatore" il comma 4 dello stesso articolo, che "esclude l'applicabilità della custodia cautelare in carcere nei confronti di chi versi nelle particolari condizioni, tassativamente indicate dalla norma stessa, sempre che non ricorrano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, ravvisabili là dove il pericolo di recidiva sia elevatissimo e tale da formulare una prognosi di sostanziale certezza che l'indagato, se sottoposto a misure di carattere extramurale, continuerebbe a commettere delitti".
Ed è dovere irrinunciabile del giudice, chiamato a decidere sulla misura cautelare applicata, descrivere e valutare sul caso concreto, escludendo ogni automatismo collegato al titolo dei reati per i quali la custodia è disposta, tranne per ipotesi tassative di "presunzione" peraltro non assoluta (cfr. Corte Cost. n. 265/2010).
Poiché sulla esigenza processuale della coercizione intramuraria, ricordano gli Ermellini, deve prevalere la tutela degli interessi correlati ai fondamentali diritti della persona, imposti dall'art. 2 e 31 della costituzione, e cioè la particolare tutela che il costituente riconosce all'infanzia, la regola juris da tenere presente è quella per la quale "sussiste il divieto di disporre o mantenere la custodia in carcere, ai sensi dell'art. 275, comma 4, c. p. p., nei confronti di un imputato padre convivente di prole di età inferiore ai sei anni, qualora la madre sia impossibilitata a dare assistenza al bambino, versando in precarie condizioni di salute".
Nel caso specifico, anche se il perito aveva affermato che la donna (pur gravemente malata di cancro) non era nell'assoluta impossibilità di badare alla figlia di quattro anni, la vicenda "non avrebbe potuto essere risolta solo con la perizia". Per cui ricorso accolto e ordinanza annullata con rinvio per nuovo esame.
Cassazione, sentenza n. 35806/2015