di Lucia Izzo - L'istituto dell'amministrazione di sostegno non può scriminare il falso avvocato condannato per esercizio abusivo della professione, poiché le condotte a lui addebitate appaiono connotate da un elevato tasso di astuzia e ingegnosità, obiettivamente in contrasto con la tesi sostenuta dal ricorrente di essere portatore di un deficit psichico.
Lo ha stabilito la sesta sezione penale della Cassazione nella sentenza n. 36942/2015 (qui sotto allegata), su ricorso presentato da un uomo condannato alla pena di tre anni e tre mesi di reclusione dalla Corte d'Appello, per plurimi reati quali simulazione di reato, falsa attestazione a pubblico ufficiale di qualità personali proprie, false dichiarazioni in atti destinati all'autorità giudiziaria, esercizio abusivo della professione forense, falso materiale in atto pubblico e truffa continuata.
Lamenta il ricorrente l'omessa valutazione da parte della Corte territoriale del proprio ridotto stato d'incapacità psichica, essendo sottoposto dal 2010 all'istituto dell'amministrazione di sostengo ed essendo stato, inoltre, assolto per reati commessi in passato poiché "non imputabile".
La ricostruzione offerta dell'imputato non basta però a influenzare i giudici di legittimità.
Gli Ermellini chiariscono che l'istituto dell'amministrazione di sostegno non postula indefettibilmente l'esistenza di una menomazione psichica, essendo allo scopo sufficiente anche una mera infermità fisica.
Invocare l'applicazione dell'istituto, pertanto, non implica automaticamente che la persona che vi è stata sottoposta sia affetta da una menomazione psichica.
Vi è di più: le condotte attuate dall'uomo nel caso di specie, appaiono ingegnosamente orchestrate, con un tasso di sagacia tale da escludere obiettivamente l'esistenza di un deficit psichico.
La pregressa assoluzione da altri fatti di reato per assenza d'imputabilità non è suscettibile di svolgere alcuna influenza su quelli attualmente oggetto di verifica giudiziaria.
Il ricorso è dichiarato inammissibile e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
Cass., VI sez. penale, sent. 36942_2015