di Lucia Izzo - Appare legittima la sanzione dell'avvertimento comminata all'avvocato che invia alla collega una comunicazione imputandole una serie di negligenze professionali nell'attività difensiva svolta, senza il doveroso e preventivo accertamento del ruolo rivestito da costei nella relativa vicenda giudiziaria ed utilizzando toni minacciosi ed intimidatori.
Così facendo, l'avvocato viene meno ai doveri di dignità, probità, decoro e tolleranza.
Hanno cosi stabilito i Giudici delle Sezioni Unite Civili con la sentenza n. 18075/15 (qui sotto allegata) sul ricorso proposto da un procuratore sottoposto alla sanzione disciplinare dell'avvertimento da parte del Consiglio dell'Ordine degli avvocati di appartenenza, misura poi confermata dal Consiglio Nazionale Forense.
La valutazione disciplinare è originata da una lettera dai toni e contenuti "sopra le righe" inviata ad una collega, riguardante l'attività difensiva da lei svolta (insieme ad altro collega) nei confronti di due coniugi dei quali il professionista/ricorrente avrebbe poi assunto la difesa in un secondo momento.
L'avvocato lamenta che il CNF, come già il COA, non avesse fatto applicazione delle norme deontologiche riguardanti il principio di autonomia dell'avvocato nella propria attività professionale, nonché la violazione dell'art. 6 del codice deontologico forense secondo cui l'avvocato che propone azioni giudiziarie non è sanzionabile se non per malafede e colpa grave (ritenute da lui insussistenti nel caso di specie).
Non è così per i giudici della Suprema Corte che reputano inammissibili le censure sollevate dall'avvocato, le quali non colgono la ratio decidenti a monte dell'azione disciplinare.
L'incolpazione di cui si discute, infatti, non pone in discussione l'autonomia dell'avvocato nell'esercizio della propria attività professionale ne la proposizione di un'azione giudiziaria nei confronti di una collega e neppure la fondatezza o meno di tale azione.
Ciò che si ascrive al professionista sono i toni, modi e contenuti della missiva, tali da far ritenere che l'autore sia venuto meno ai propri doveri di dignità, probità, decoro, nonché ai doveri di correttezza e lealtà che dovrebbero caratterizzare il rapporto di colleganza.
Le accuse rivolte alla collega appaiono, in aggiunta, dubbie ed avventate in quanto costei non aveva curato l'intera pratica dei coniugi per la quale il ricorrente lamenta la paventata negligenza.
Gli stessi giudici disciplinari avevano circoscritto alla sola analisi della lettera le ragioni dell'azione disciplinare, relegando il merito delle suddette vicende sullo sfondo.
La Corte rigetta il ricorso.
Cassazione, Sezioni Unite Civili, sentenza n. 18075_2015