Condannato in primo e secondo grado, l'uomo ha tentato di attenuare la propria posizione asserendo di essere stato a sua volta abusato in età giovanile. Ma fortunatamente a nulla gli è valso.
Infatti, nel caso di specie la Corte d'Appello, la cui sentenza è stata confermata, aveva già rilevato l'insussistenza di elementi che potessero giustificare un trattamento benevolo dell'imputato, orientando in senso negativo il proprio potere discrezionale rispetto alla graduazione della pena.
Inattaccabile è stato ritenuto il ragionamento che ha portato il giudice del merito a valorizzare la natura particolarmente odiosa dell'azione e la gravità del danno cagionato alla minore.
Il padre, infatti, ha posto in essere abusi ripetuti e molto gravi nei confronti della figlia e ha ingenerato nella piccola il convincimento di essere stata oggetto soltanto dei "più turpi istinti del genitore", chiudendosi completamente rispetto all'entusiasmo e alla disponibilità della ragazzina di riconquistare la figura paterna.
Dinanzi a tali elementi, l'asserita (e peraltro non provata) circostanza che anche il padre avrebbe subito abusi sessuali da ragazzo a nulla vale ad attenuare l'intensità del dolo e la condanna a sette anni di reclusione va confermata.
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