di Lucia Izzo - La nomina di un difensore di fiducia costituisce un evento di per sé idoneo a provare l'effettiva conoscenza della pendenza del procedimento o dei provvedimenti (con decorrenza del corrispondente termine), a meno che non risulti che il legale abbia comunicato al giudice l'avvenuta interruzione di ogni rapporto con il proprio assistito.
Così la III sezione penale della Corte di Cassazione si esprime nella sentenza n. 36933/15 (qui sotto allegata), a seguito del ricorso di un uomo condannato per violazioni in materia edilizia, contro un ordinanza del Tribunale di Brindisi che, in qualità di giudice dell'esecuzione, aveva respinto la sua istanza di restituzione nel termite per l'impugnazione ella sentenza della Corte d'Appello di Lecce che aveva confermato la sua colpevolezza.
L'uomo sostiene che il Tribunale abbia erroneamente ravvisato nel caso di specie una presunzione di conoscenza del procedimento e del provvedimento, identificando erroneamente nel difensore un succedaneo dell'imputato senza invece considerare la separazione dei ruoli.
Per gli Ermellini, il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza.
Indirizzo consolidato in giurisprudenza riconosce al contumace il diritto alla restituzione nel termine per impugnare salvo che lo stesso abbia avuto effettiva conoscenza del procedimento o del provvedimento e abbia volontariamente rinunciato a comparire ovvero a proporre impugnazione o opposizione.
Il dato testuale è, di conseguenza, inequivocabilmente nel senso che la mancanza di conoscenza dei procedimento accompagnata da mancata volontaria rinunzia a comparire, e la mancata conoscenza dei provvedimento, accompagnata da mancanza di volontaria rinunzia a impugnare, costituiscono condizioni che devono sussistere cumulativamente per ottenere la restituzione in termini.
Necessario è preliminarmente stabilire se l'imputato abbia avuto conoscenza effettiva non solo della della possibilità di un procedimento a suo carico, ma anche dell'esistenza effettiva di un processo e dei contenuto dell'accusa sulla quale era chiamato a difendersi in giudizio.
Nel caso in esame, il Tribunale, dopo aver rilevato che l'estratto contumaciale era stato notificato all'imputato con le forme della compiuta giacenza, ha ritenuto sussistente la prova della conoscenza del procedimento e del provvedimento in considerazione della verificata partecipazione del ricorrente al giudizio di primo grado e dell'appello da costui proposto in maniera regolare e rituale insieme ad un coimputato: i due proponevano gravame con unico atto e a mezzo dei medesimo difensore che riceveva regolare notifica della sentenza di secondo grado.
Ai fini della effettività della conoscenza occorreva considerare il rapporto fiduciario col difensore sulla scorta di quanto stabilito dalla legge n. 60/2005.
L'aver nominato un avvocato di fiducia, è elemento idoneo a provare che l'assistito abbia avuto effettiva conoscenza circa la pendenza del procedimento e dei provvedimenti.
Eccezione in tal senso può derivare dall'eventuale interruzione del rapporto fiduciario comunicata dal procuratore al giudice.
In altre parole, quando è in atto una difesa fiduciaria, in assenza di comunicazione alcuna sull'avvenuta interruzione dei rapporti con l'assistito, viene a mancare quella sorta di presunzione "iuris tantum" di non conoscenza della pendenza dei procedimento da parte dell'imputato, che caratterizza la disciplina della restituzione nel termine per impugnare la sentenza contumaciale dopo la l. n. 60 del 2005.
La difesa fiduciaria infatti fisiologicamente si caratterizza per la costanza del "contatto informato" tra difensore ed assistito sicché essa, in assenza di rigorosa prova contraria, costituisce "fatto" idoneo a comprovare una mutua informazione in atto che esclude l'utile ricorso all'istituto in questione.
Il ricorso è dichiarato inammissibile e il ricorrente condannato alle spese.
Cass., III sez. Penale, sent. 36933/15