di Valeria Zeppilli - Il danno alla capacità lavorativa di un minore non può essere escluso solo sulla base del fatto che lo stato di invalidità permanente del 30%, relativo all'udito e cagionato da responsabilità medica per mancata diagnosi, sia stato rimediato in concreto con l'applicazione di una protesi.
Per la Corte di Cassazione, secondo quanto espresso con la sentenza n. 18305 depositata il 18 settembre 2015 (qui sotto allegata), il fatto che la vita del minore si svolga con la percezione della costante applicazione della protesi, necessaria a sopperire all'invalidità, è di per sé più che sufficiente a negare la predetta esclusione, con la conseguenza che lo stato invalidante deve essere considerato come "evidenziatore di un danno conseguenza patrimoniale futuro da cd. perdita".
Quindi, mentre i giudici del merito avevano ritenuto che il sordomutismo della minore in età infantile non avrebbe influito negativamente sul suo futuro ingresso nel mondo del lavoro, i giudici di legittimità giungono a una conclusione completamente opposta.
La condizione di chi è costretto ad utilizzare una protesi per l'udito, e quindi lavorare con un apparecchio di certo invasivo per la persona, per la Corte non può essere assolutamente paragonata a quella di chi, invece, non lo deve utilizzare in quanto normoudente: la percezione dell'handicap e della presenza dell'impianto non può di certo essere eliminata con l'effetto compensativo offerto dalla protesi.
Oltretutto, anche allo stato attuale, la piccola, a seguito delle sue problematiche, ha un rendimento scolastico appena sufficiente e deve essere assistita da un insegnante di sostegno: le conseguenze di tale circostanza molto presumibilmente incideranno sul suo ingresso nel mondo del lavoro.
Il ricorso dei genitori della bambina va quindi necessariamente accolto e il danno patrimoniale corrisposto.
Corte di cassazione testo sentenza n. 18305/2015