di Lucia Izzo - È punibile per diffamazione l'amministratore che trasmette a tutti i condomini una lettera offensiva in cui sono riportati epiteti denigratori verso altri comproprietari pronunciati da altre persone.
Lo stabilisce la Corte di Cassazione, quinta sezione penale, nella sentenza n. 44387/2015 (qui sotto allegata), dichiarando inammissibile il ricorso presentato da un amministratore di condominio condannato per il reato previsto dall'art. 595 c.p.
L'imputato, aveva inviato, quale amministrare di condominio, una lettera a tutta i condomini rappresentando che nel corso di un'assemblea condominiale un geometra (rappresentante dell'INPDAP proprietario di circa un terzo degli immobili condominiali) si era espresso nei riguardi di due presenti sostenendo che i due "non capivano niente ed erano malfattori, gentaglia e delinquenti".
Uno degli offesi era presidente dell'assemblea condominiale nella quale erano volati gli ingiuriosi epiteti e aveva contestato in quella circostanza alcune voci del bilancio predisposte dal ricorrente, inducendo quest'ultimo a rassegnare successivamente le proprie dimissioni.
Lamenta il ricorrente che le frasi ritenute offensive erano state riportate nella missiva con unica ed evidente finalità di adempiere al proprio dovere di amministratore, rendendo edotti i condomini sulle vicende relative all'assemblea condominiale e su quelle della vita condominiale in genere.
Siccome diversi condomini avevano abbandonato l'assemblea in massa per protesta, era necessario informarli sugli eventi accaduti incidenti sui loro diritti patrimoniali.
Ma le censure sollevate dall'uomo sono inammissibili per la Cassazione.
Appare evidente che la missiva fosse stata inserita nelle buche delle lettere dei vari condomini, nonostante il ricorrente avesse prima sostenuto di averla inviata ai soli offesi; è il tenore delle sue stesse doglianze che contraddice il presunto invio ai soli due offesi.
Infatti, reclamando la causa di giustificazione ex art. 51 c.p. (Esercizio di un diritto o adempimento di un dovere), l'imputato sostiene che i condomini "dovevano sapere" come erano andate le cose in occasione della precedente assemblea ed era suo diritto-dovere informali, e in tal modo conferma che lo scritto era destinato ad essere divulgato.
Lo stesso tenore della lettera, come rilevato dai giudici di merito, contentava una serie di comunicazioni di interesse del condominio tutto e non dei singoli.
Ciononostante, la libertà di riferire i fatti, e anzi il dovere quale amministratore di informare i condomini, doveva accordarsi con l'interesse della persona offesa a che non venisse amplificata l'espressione ingiuriosa asseritamene pronunciata da un terzo ai suoi danni.
La comunità dei condomini non avrebbe avuto alcun interesse nel venire a conoscenza delle presunte offese pronunciate, mentre invece avrebbe fatto comodo al ricorrente utilizzare tale canale di trasmissione per diffondere le informazioni offensive della reputazione dei due condomini (che, si ricordano, avevano contestato il suo operato portandolo alle dimissioni).
Il ricorrente, argomentava che, una volta informato sulle pressioni per far sì che venisse nominato un nuovo amministratore egli aveva agito nello stato d'ira provocato da un fatto ingiusto ascrivile alle presunte persone offese.
È evidente che la lettera venne preparata e divulgata per ottenere il massimo effetto di diffusione e conoscenza al'interno della realta del grande complesso condominiale, circostanza indicativa di una valutazione di gravità non minima del fatto che non consente di ricorrere all'art. 131-bis c.p.