di Lucia Izzo - La disciplina speciale prevista dalla riforma Fornero, concernente il reclamo avverso la sentenza che decide sulla domanda di impugnativa del licenziamento nelle ipotesi regolate dalla legge 300/1970, va integrata con quella dell'appello nel rito del lavoro.
Ciò significa che nel giudizio di Cassazione dopo una "doppia conforme" dovrà dimostrare che le ragioni di fatto poste alla base della decisione di primo grado sono diverse da quelle poste a base della sentenza di rigetto dell'appello.
Lo evidenzia la Corte di Cassazione, sezione lavoro, nella sentenza n. 22415/2015 (qui sotto allegata) su ricorso di una società per azioni che aveva licenziato un suo dipendente, account manager di V livello, a causa di "gravi irregolarità avvenute nella conclusione delle operazioni commerciali con clienti del suo portafoglio".
Il dipendente impugnava il proprio licenziamento disciplinare ottenendo pronuncia favorevole sia dal Tribunale che dalla Corte d'Appello considerando la tardività della contestazione disciplinare (le operazioni commerciali risalivano alla seconda meta del 2009 e la contestazione veniva formulata oltre due anni dopo).
In primis, gli Ermellini chiariscono la differenza in sede di legittimità tra vizio di motivazione, che concerne l'accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia, e violazione di legge, che attiene all'interpretazione e applicazione delle norme giuridiche.
Il ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione della legge n. 300/70, non ha rispettato tale distinzione perché il motivo sostanzialmente attiene alla ricostruzione operata dalla Corte di merito del materiale probatorio. Non si tratta pertanto di una violazione di legge (che riguarda il c.d. sindacato in iure), ma di una critica sul valore degli elementi fattuali posti alla base della decisione, ossia un vizio di motivazione della sentenza aggravata.
Nonostante l'esatta qualificazione operata dal Collegio, il motivo è comunque inammissibile.
La disciplina prevista dall'art. 1 comma 58, della legge 28 giugno 2012, n. 92, riguardante il reclamo avverso la sentenza che decide sulla domanda di impugnativa del licenziamento nelle ipotesi regolate dall'art. 18 della legge 20 maggio 1970 n.n 300, va integrata con quella dell'appello nel rito del lavoro.
Nel giudizio di Cassazione dovrà pertanto applicarsi anche il quinto comma dell'art. 348-ter c.p.c. che prevede che la disposizione contenuta nel precedente comma quarto (esclusione del vizio di motivazione dal catalogo di quelli deducibili ex art. 360 c.p.c.) si applica, fuori dai casi di cui all'art. 348-bis, secondo comma, lett. a), anche al ricorso per cassazione avverso la sentenza di appello che conferma la decisione di primo grado (doppia conforme).
Per evitare l'inammissibilità del motivo di ricorso, stante la conferma della Corte d'Appello della ricostruzione effettuata dal Tribunale, il ricorrente avrebbe dovuto indicare le ragioni di fatto poste alla base della sentenza di primo grado e dimostrare la diversità rispetto a quelle di rigetto dell'appello, cosa che nel caso di specie non è avvenuta.
Inoltre, sull'avanzato controricorso, la Corte precisa che il controricorrente può eccepire la tardività del ricorso in cassazione, ma deve allegare attestazioni idonee a dimostrare che la notifica sarebbe stata richiesta agli ufficiali giudiziari oltre 60 giorni dalla comunicazione del testo integrale della sentenza impugnata da parte della cancelleria a mezzo PEC; nel caso di specie non è indicata la data di avvenuta ricezione da parte della ricorrente della comunicazione ad opera della cancelleria della Corte d'Appello e pertanto non può essere accolta la doglianza in controricorso.
A seguito del rigetto, il ricorrente è tenuto al pagamento del doppio contributo unificato (ex D.P.R. 115/2002 integrato dalla L. 228/2012).
Cass., sezione lavoro, sent. 22415/2015