di Lucia Izzo - Illegittimo il licenziamento del lavoratore se le assenze che giustificano il provvedimento disciplinare sono riconducibili a patologie di natura professionale, che non provvedono a integrare il superamento del periodo di comporto di 12 mesi.
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con la sentenza n. 22823/2015 (qui sotto allegata) ha respinto il ricorso proposto da s.r.l. che si era vista condannare cumulativamente al risarcimento danni e al pagamento di 15 mensilità dell'ultima retribuzione in favore del lavoratore illegittimamente licenziato che aveva rinunciato alla reintegra.
Per la ricorrente i giudici di merito sarebbero incorsi in un travisamento dei fatti, sbagliando anche nel cumulare una una doppia sanzione ossia un'indennità risarcitoria ex art. 18, comma 5, legge 300/70 nella misura di quindici mensilità, in sostituzione dell'originaria domanda di reintegra nel posto di lavoro, nonché il pagamento di tutte le retribuzioni globali di fatto dovute dalla data del licenziamento a quella del deposito del ricorso d'appello.
Per gli Ermellini, il ricorso è infondato.
La Corte d'Appello ha correttamente accertato il non superamento del periodo di computa attenendosi agli elementi sottoposti alla sua indagine: una consistente parte delle assenze indicate nella lettera di licenziamento, poteva essere ricondotta ad una patologia oculistica di natura professionale confermata in altro giudizio, passato in giudicato; ricalcolando le assenze, non veniva superato il periodo di comporto di 12 mesi necessario per fondare il licenziamento.
Inoltre, nessuna incompatibilità sussiste tra la condanna al pagamento delle 15 mensilità, in sostituzione della reintegra originariamente richiesta dal lavoratore, e quella al risarcimento del danno nella misura della retribuzione globale di fatto dovuta dal licenziamento fino al deposito del ricorso d'appello.
Il fatto che si tratti di due condanne risarcitorie basate su titoli autonomi lo si ricava proprio dalla lettura dei quarto e dei quinto comma dell'art. 18 della legge n. 300 dei 1970, per cui "il diritto al risarcimento del danno conseguente al licenziamento dichiarato invalido o inefficace, decorrente dal licenziamento all'effettiva reintegra, è fatto espressamente salvo dal successivo quinto comma che contempla la facoltà per il lavoratore di chiedere al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un'indennità pari a quindici mensilità di retribuzione globale di fatto".
Infondata anche la censura per cui la ricorrente ritiene che il giudice, ai fini della determinazione dei danno, non abbia considerato la fruizione, da parte dei lavoratore, di una rendita erogatagli dall'Inail: l'erogazione di una tale rendita per inabilità assolve una funzione di natura assistenziale che è diversa da quella ristoratrice perseguita dal risarcimento dei danno previsto dall'art. 18 della legge n. 300/70 in conseguenza dell'accertata illegittimità del licenziamento.
Cass., sezione lavoro, sent. 22823/2015