di Marina Crisafi - Il giudice non può limitarsi a liquidare globalmente i diritti e gli onorari di avvocato, peraltro riducendoli rispetto a quelli esposti. Deve invece attenersi alla nota prodotta dalla parte vittoriosa, e nel caso di tagli o riduzione di qualche voce deve fornire adeguata motivazione. Lo ha ribadito la terza sezione civile della Cassazione, con la sentenza n. 22883/2015, depositata oggi (qui sotto allegata), accogliendo il ricorso di alcuni automobilisti che avevano trascinato in giudizio una società per domandare il risarcimento dei danni ai loro veicoli causati da lavori svolti dai dipendenti della stessa.
In primo e in secondo grado le istanze dei proprietari venivano accolte, ma il tribunale (riformando la sentenza del giudice di pace) liquidava globalmente e forfettariamente le spese del giudizio, senza provvedere con liquidazione separata.
I danneggiati, pertanto, si rivolgevano al Palazzaccio, lamentando che i diversi giudizi, inizialmente trattati separatamente erano stati riuniti solo in seguito (dopo la trattazione di almeno due udienze) e che dunque le spese legali andavano liquidate per ogni singola causa e attività svolta per lo meno sino al momento della loro riunione, potendo solo successivamente alla stessa, liquidare un unico onorario con gli aumenti previsti in base al numero dei procedimenti riuniti.
La Cassazione concorda e coglie l'occasione per ribadire che "in tema di liquidazione delle spese processuali, il giudice, in presenza di una nota specifica prodotta dalla parte vittoriosa, non può limitarsi ad una globale determinazione dei diritti di procuratore e degli onorari di avvocato, in misura inferiore a quelli esposti, ma ha l'onere di dare adeguata motivazione dell'eliminazione e della riduzione di voci da lui operata, allo scopo di consentire, attraverso il sindacato di legittimità, l'accertamento della conformità della liquidazione a quanto risulta dagli atti e alle tariffe". Per cui il ricorso è accolto e la parola passa al giudice del rinvio.
Cassazione, sentenza n. 22883/2015
Cassazione, sentenza n. 22883/2015