di Valeria Zeppilli - Spiacevole la questione del riconoscimento del rapporto di filiazione.
Ma l'accertamento della paternità o della maternità è una questione che non può lasciare nulla di intentato.
Tanto che, in presenza di elementi validi a riconoscere il predetto rapporto, il giudice che si occupa della controversia non può rifiutare la C.T.U. ematologica.
Questo, almeno, è quanto stabilito dalla Corte di Cassazione con la sentenza numero 23290/2015, depositata il 13 novembre (qui sotto allegata).
Nel caso sottoposto all'attenzione dei giudici, la Corte d'Appello aveva rigettato l'istanza di ammissione della C.T.U., ritenendola rinunciata in ragione del fatto che all'udienza fissata per l'ammissione delle istanze istruttorie la parte aveva chiesto il rinvio della causa per la precisazione delle conclusioni, e, in ogni caso, in quanto mezzo con funzione meramente esplorativa.
A tal proposito la Cassazione ha invece chiarito, innanzitutto, che alla consulenza tecnica d'ufficio non può essere applicato il regime processuale proprio delle istanze probatorie di parte, come, ad esempio, la richiesta di assunzione di prova testimoniale.
Ha specificato, poi, che un'istanza istruttoria può definirsi esplorativa solo nel caso in cui tenda a supplire a delle carenze allegative e probatorie delle parti, aggirando il regime giuridico dell'onere della prova.
Nella specie, invece, l'istanza seguiva una pluralità di altri mezzi di prova, benché non univoci.
Oltretutto, essa era volta verso l'unica indagine effettivamente idonea ad accertare la verità dei rapporti di filiazione.
Per i giudici, infatti, la C.T.U. ematologica, come da costante orientamento, costituisce un accertamento decisivo a tal punto da rendere di pregnante rilevanza il comportamento processuale con il quale essa venga ingiustificatamente rifiutata.
Corte di cassazione testo sentenza numero 23290/2015