Nonostante l'assenza dell'analisi di alcuni elementi probatori, infatti, una valutazione globale del materiale che gli inquirenti hanno raccolto nel corso del processo può essere sufficiente a salvare la pronuncia dal vizio.
Con la sentenza numero 47458/2015, depositata il 1° dicembre (qui sotto allegata), la Corte di cassazione ha infatti chiarito che a rilevare è che l'apparato logico relativo agli elementi probatori rilevanti rappresenti una confutazione diretta e inequivoca degli elementi che non sono menzionati dalla pronuncia.
Nel caso di specie, il ricorrente, un avvocato condannato per usura, lamentava dinanzi alla Corte l'omessa valutazione, in grado di appello, delle prove raccolte dagli inquirenti.
I giudici, nell'analizzare la questione, hanno chiarito che le sentenze di primo e secondo grado, che non siano difformi nelle conclusioni, formano una sola entità logico-giuridica alla quale fare riferimento per giudicare la congruità della motivazione.
Di conseguenza, il giudice d'appello può legittimamente limitarsi a rinviare alla sentenza di primo grado.
Anche laddove vi siano minime incongruenze argomentative o sia omessa l'esposizione di elementi di valutazione non decisivi e chiaramente inidonei a determinare una decisione diversa, l'annullamento non può comunque essere giustificato.
In applicazione di tali principi, la Corte ha quindi osservato che la sentenza di appello emessa contro il ricorrente recepiva quella di primo grado in maniera critica e valutativa e ometteva in maniera del tutto legittima l'esame delle doglianze alle quali già la sentenza di primo grado aveva esaustivamente risposto.
Al legale, quindi, non resta altro che accettare la condanna e pagare le spese del grado di giudizio.