Nel caso sottoposto all'attenzione della Corte, il giudice di primo grado aveva riconosciuto che il padre dei ricorrenti aveva un'altra figlia, nata da una relazione extraconiugale.
La Corte d'appello, dinanzi alla quale i fratelli avevano impugnato la sentenza di primo grado, aveva rigettato l'impugnazione evidenziando che l'ingiustificato rifiuto di sottoporsi all'esame del DNA andava correttamente valorizzato come elemento di prova. L'accertamento, infatti, avrebbe concorso a delineare il quadro probatorio complessivo, permettendo l'acquisizione di dati attendibili senza interferire sullo status filiale degli appellanti.
La Cassazione, interessata della questione, ha sottolineato che la Corte di appello, correttamente, non ha assunto il contegno processuale dei fratelli come elemento esclusivo e preminente del riconoscimento del rapporto di paternità, ma lo ha valutato unitamente a numerosi altri elementi presuntivi, gravi, univoci e convergenti.
Ad esso, oltre alla cremazione caratterizzata da circostanze anomale, si è aggiunta infatti anche la provata sussistenza di una relazione sentimentale e sessuale tra il padre e la donna che ha generato la figlia giudizialmente riconosciuta tale, relazione compatibile con l'epoca del concepimento.
La sentenza di secondo grado, dunque, non è sindacabile in sede di legittimità.
Ai ricorrenti non resta che aprire ufficialmente le porte alla "nuova" sorella.
Corte di cassazione testo sentenza numero 24444/2015