di Marina Crisafi - Non c'è nessuna scusante per l'uomo che ha maltrattato la propria moglie per anni anche se lei, per amor dei figli e della famiglia, ha taciuto e tollerato. E non vale a cancellare le colpe la sporadicità delle condotte dell'uomo, acuite dopo che la donna ha deciso di riscattarsi dal lungo incubo scegliendo la via della separazione. A rilevare infatti ai fini della sussistenza del reato di maltrattamenti è il complessivo atteggiamento dell'uomo. Lo ha affermato la Cassazione, nella recente sentenza n. 47209/2015 (qui sotto allegata), confermando definitivamente la condanna di un uomo per il reato di maltrattamenti nei confronti della consorte. Una condanna inflitta dalla corte d'appello demolendo la tesi del giudice di prime cure secondo il quale l'uomo andava assolto proprio per la decisiva saltuarietà delle condotte, collocate in un periodo successivo alla comunicazione da parte della donna di volersi separare, nonché della lunga durata del rapporto matrimoniale, pari a circa un trentennio.
Avvalorando quanto affermato dal giudice d'appello, la sesta sezione penale della cassazione, conferma l'incontestabile abitualità dei maltrattamenti subiti dalla donna e l'irrilevanza della tolleranza trentennale degli stessi. Dalle dichiarazioni della vittima e dalle testimonianze del figlio e di alcuni conoscenti, è emerso infatti un quadro fatto di episodi aggressivi, perpetrati durante tutto il matrimonio, che mettono in luce un atteggiamento di "complessiva svalutazione" tenuto dall'uomo nel corso dell'intera vita coniugale.
Per cui, essendo evidente la volontà di sopraffazione tipica dei maltrattamenti, la S.C. non ha alcun dubbio nel confermare la condanna dell'uomo.
Cassazione, sentenza n. 47209/2015