di Marina Crisafi - Deve ritenersi legittima la censura al magistrato che viola i "doveri di correttezza, imparzialità ed equilibrio, ponendo in essere abitualmente comportamenti lesivi della sua immagine" oltre che gravemente scorretti nei confronti di parti, difensori, personale amministrativo, colleghi e ausiliari. A stabilirlo sono le sezioni unite della Cassazione con la sentenza n. 25203/2015, depositata ieri (qui sotto allegata), confermando la sanzione della censura nei confronti di un giudice tutelare del tribunale di Milano, ai sensi degli artt. 1, comma 1 e 2, lett. D) del d.lgs. n. 109/2006.
Nella vicenda, ad essere contestate al magistrato erano in particolare diverse condotte, tra cui: i "suggerimenti personali" forniti ad una delle parti di un procedimento di interdizione, alla quale era legato da rapporto di conoscenza, tanto da dover manifestare di astenersi dalla cognizione della causa; il tono irridente ed allusivo nei confronti di un avvocato nell'ambito di una procedura di amministrazione di sostegno e la revoca ad una professionista della nomina a curatrice di un minore a seguito dell'accusa ingiusta di aver trattenuto illecitamente somme di proprietà dell'assistito.
Per il Palazzaccio, le censure mosse al giudice sono tutte fondate e la sentenza
non incorre in nessun vizio. Così, da piazza Cavour, smontano una per una le tesi difensive del magistrato. Quanto al primo addebito, spiegano infatti i giudici di legittimità, una volta che l'incolpato aveva ravvisato gravi ragioni di convenienza che lo inducevano ad astenersi, a maggior ragione doveva evitare interventi informali di orientamento delle parti nell'ambito della controversia, sicché senza dubbio il comportamento non può che ritenersi "scorretto nei confronti delle parti, in una situazione in cui era palese e riconosciuto il pregiudizio per la sua immagine di imparzialità".In ordine al secondo addebito, ingiustamente aggressivo ed umiliante, è poi, per la S.C., l'atteggiamento tenuto dal magistrato nei confronti della curatrice.
Quanto, infine, all'avvocato, a prescindere dal merito dei provvedimenti adottati, a venire in rilievo è il tono irridente ed allusivo adoperato nella motivazione degli stessi nei confronti di una professionista che quand'anche fosse stata effettivamente nel torto non poteva essere derisa.
Non regge, infatti, la tesi difensiva della mancanza di abitualità delle condotte lesive e scorrette ascritte, asseritamente riguardanti "una sola avvocatessa che aveva specifici motivi di astio e di contrapposizione" verso l'incolpato che l'aveva fermata nei suoi comportamenti scorretti verso i soggetti a lei affidati e limitati a "solo due episodi, frequenza sicuramente non idonea a fondare un giudizio di abitualità escluso invece in via positiva dalle prove documentali prodotte".
Per le sezioni unite, infatti, il motivo è infondato, in quanto i tre capi di incolpazione di cui il magistrato è stato ritenuto responsabile, corrispondenti ad altrettanti episodi, costituiscono invero "comportamenti abitualmente o gravemente scorretti", data peraltro la breve durata della permanenza del magistrato nell'ufficio.
Per cui è corretta la censura disposta dal Csm e il ricorso va rigettato.
Cassazione, Sezioni Unite, sentenza n. 25203/2015