di Lucia Izzo - Determina indebita duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del c.d. danno morale (non altrimenti specificato) e del c.d. danno da perdita del rapporto parentale, poiché la sofferenza patita nel momento in cui la perdita è percepita e quella che accompagna l'esistenza del soggetto che l'ha subita altro non sono che componenti del complesso pregiudizio che va integralmente, ma unitariamente ristorato.
Questo il principio ribadito dalla Corte di Cassazione, terza sezione civile, nella sentenza n. 25351/2015 (qui sotto allegata) con cui il Collegio ha accolto il ricorso principale di un'agenzia assicurativa.
La ricorrente, quale compagnia assicuratrice Rca di un'autovettura, era stata condannata in sede d'appello al risarcimento dei danni patiti dai familiari (padre, madre e fratello) di un uomo deceduto a seguito di sinistro stradale.
Dinnanzi agli Ermellini l'assicuratrice contesta l'illegittima duplicazione della liquidazione di danno morale e danno c.d. parentale effettuata dal giudice del gravame che aveva provveduto ad una "valutazione individualizzante", proprio con l'intento di evitare il "doppio risarcimento".
In realtà, come evidenziano anche i giudici di Piazza Cavour, la valutazione della Corte d'Appello, applicando i criteri derivanti dal sistema "a punti", senza alcun altro riferimento se non alla "sicura presenza di un danno morale oggettivo", aveva portato ad una maggiorazione percentuale priva di indicazione delle ragioni della differenziazione.
La considerazione separata del patimento che affligge una persona al momento in cui la perdita è percepita e quello sofferto nel corso della propria esistenza, appare anomala trattandosi del pur sempre unitario concetto di danno non patrimoniale: una eventuale separazione delle due componenti sarebbe ammessa soltanto nel caso in cui apparisse evidente la diversità del bene od interesse oggetto di lesione.
Nel caso di specie, invece, la sofferenza dovuta alla perdita del congiunto è stata valutata erroneamente due volte.
Pertanto, la sentenza gravata va cassata in relazione alle censure accolte e rinviata alla Corte d'Appello competente anche per quanto riguarda le spese.
Cass., III sez. civile, sent. 25351/2015