di Lucia Izzo - Non va dichiarato adottabile il minore che, nonostante le difficoltà e le drammatiche vicende che hanno colpito la famiglia di origine, possa crescere ed essere educato con i suoi familiari.
Infatti, secondo l'art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, sono dichiarati in stato di adottabilità i minori di cui sia accertata la situazione di abbandono non transeunte, ovvero non suscettibile di essere superata, perché privi di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi.
Il bambino ha diritto a crescere ed essere educato nell'ambito della propria famiglia e "le autorità nazionali, secondo i dettami CEDU, hanno il dovere di adottare tutte le misure necessarie e appropriate che si possono ragionevolmente esigere dalle stesse affinché i minori possano condurre una vita famigliare normale all'interno del proprio nucleo familiare".
La dichiarazione di adottabilità, secondo al Corte EDU, rappresenta un'ingerenza nell'esercizio del diritto al rispetto della vita famigliare, e "tale ingerenza è compatibile con l'art. 8 della Convenzione solo se soddisfa le condizioni cumulative di essere prevista dalla legge, di perseguire uno scopo legittimo e di essere necessaria in una società democratica, nel senso che l'ingerenza si basi su un bisogno sociale imperioso e che sia in particolare proporzionata al legittimo scopo perseguito".
In un simile contesto, la dichiarazione di adottabilità deve rimanere l'extrema ratio, poiché vanno preferite misure idonee a riunire il figlio al genitore.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, prima sezione civile, nelle sentenze 25526/2015 e 25527/2015 (qui sotto allegate) riguardanti controversie circa l'adottabilità o meno di minori le cui vicende familiari avevano posto in dubbio la capacità della famiglia di prendersi cura di loro.
Nel primo caso la Corte ha rigettato il ricorso della curatrice speciale, ritenendo che la minore dichiarata adottabile potesse essere affidata allo zio materno: alle difficoltà della madre, tossicodipendente e affetta da HIV, inidonea a prendersi cura i lei, sopperiscono le serie e dichiarate intenzioni dello zio, che si è trasferito con la famiglia il più possibile vicino alla piccola.
Sicché, appare corretta l'appellata decisione che aveva revocato la dichiarazione di adottabilità della bambina affidandola allo zio materno, stante la sopravvenienza all'originario provvedimento di un atteggiamento delle figure parentali che dimostra la seria disponibilità a prestare assistenza materiale e morale al minore.
Nel secondo caso, invece, gli Ermellini hanno accolto il ricorso di una coppia in quanto la corte territoriale, nel dichiararne adottabili i figli avrebbe omesso di valutare la disponibilità e idoneità in concreto dei genitori a prendersi cura dei piccoli, senza neppure esaminare la perizia del CTP prodotta in giudizio.
I giudici della Cassazione ribadiscono che spetta al giudice di merito prioritariamente "verificare se possa utilmente essere fornito un intervento di sostegno diretto a rimuovere situazioni di difficoltà e disagio familiari e, solo ove risulti impossibile, quand'anche in base ad un criterio di grande probabilità, prevederne il recupero delle capacità genitoriali entro tempi compatibili con la necessita del minore a vivere in uno stabile contesto familiare, è legittimo e corretto l'accertamento dello stato di abbandono".
Principi a cui il giudice, nel caso di specie, non si sarebbe conformato anche in relazione alla richiamata normativa Convenzionale che svolge il ruolo di "vademecum".
Cass., I sez. civile, sent. sentenze 25526/2015Cass., I sez. civile, sent. sentenze 25527/2015