E' compito però degli adulti cercare di comprendere una dinamica che è tipica dell'infanzia e dell'adolescenza e che può svelare una serie di bisogni, di desideri, di paure.
Fatto sta che le bugie non sempre sono evidenti ma dare per vero, senza alcuna verifica, quello che racconta un figlio potrebbe creare qualche problema anche con la giustizia.
Lo sa bene un papà siciliano che, reo di aver creduto in modo incondizionato a una racconto della sua figlioletta secondo cui sarebbe stata offesa dal vicino di casa. L'uomo non ha esitato ad attaccare verbalmente il suo dirimpettaio coprendolo di ingiurie.
Peccato però che le parole della bimba si siano poi dimostrate frutto della sua fantasia e il padre si quindi è "beccato" una bella condanna per il reato di ingiurie.
Nulla è valso ad alleggerire la sua posizione processuale.
La Corte di Cassazione, interessata della questione, con la sentenza numero 14021/2014 (qui sotto allegata), ha infatti chiarito che nel caso di specie non può essere applicata la scriminante della provocazione putativa. Questa, infatti, esige innanzitutto che l'opinione del fatto ingiusto sia ragionevole anche se erronea.
Esige poi che anche l'errore sia ragionevole, plausibile e logicamente apprezzabile.
Tutte caratteristiche che non sono state riconosciute dalla Corte nel fatto alla base dell'errore dell'imputato, ovverosia le parole di una bambina di quattro anni! Che indubbiamente avrebbero dovuto essere oggetto di un'attenta verifica. Del resto nel mondo dell'infanzia il mondo reale e la fantasia sono divisi solo da una sottile linea di confine.
Corte di cassazione testo sentenza numero 14021/2014