Per la Cassazione, è corretto quindi applicare i parametri in vigore al termine della causa

di Lucia Izzo - Le cause in materia di riparazione per ingiusta detenzione non sono cause di valore indeterminabile per come si desume dallo stesso art. 315, comma 2, c.p.p., in base al quale l'entità della riparazione non può comunque eccedere la somma di Euro 516.456,90. 


Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, sez. IV Penale, nella sentenza n. 55/2016 (qui sotto allegata) depositata il 5 gennaio 2016. 


La lunga vicenda ha visto in prima battuta la Corte di appello di Trento respingere, con ordinanza, la domanda di riparazione per ingiusta detenzione proposta da un uomo in relazione al patito periodo di arresti domiciliari.

Contro tale ordinanza, la difesa ricorreva in Cassazione e la Corte provvedeva all'annullamento con rinvio alla Corte di Appello per un riesame.

A questa decisione sono seguite altre pronunce della Corte territoriale, nuovamente impugnate in Cassazione dalla difesa o dal Ministero delle Finanze, fino ad arrivare per la quinta volta dinnanzi al consesso capitolino.


Nonostante il susseguirsi di pronunce, il diritto del ricorrente all'indennizzo appare riconosciuto, anche è stato rideterminato nel quantum da 60.000 a 40.000 euro. 


Le maggiori problematiche, invece, hanno riguardato i parametri da applicare per la quantificazione delle spese legali (visto il susseguirsi, in corso di giudizio dei DM 127/2004, il DM 140/2012 e il DM 54/2014), nonché lo scaglione nel quale collocare la liquidazione delle spese stesse e come queste vanno ripartite/compensate


La difesa dell'uomo contesta la decisione d'appello nella parte in cui, circa il DM 127/2004, la corte aveva liquidato le spese di lite sulla base dei parametri relativi al III scaglione di quello stesso decreto (relativo a cause da 25.900,01 a 51.700,00 Euro) anziché sui parametri stabiliti per le cause di valore indeterminabile

In particolare, secondo il ricorrente, le cause dedotte con istanza di ingiusta detenzione sarebbero per loro natura di valore indeterminabile e tali rimarrebbero, ai fini della liquidazione delle spese processuali, a prescindere dalla somma concretamente attribuita all'istante ad esito dell'accertamento. 


Con riferimento sempre allo stesso decreto, l'uomo impugna la parte in cui la corte ha liquidato le spese di lite senza riconoscere alla causa il carattere della particolare importanza con conseguente aumento, sino al doppio, dei massimi previsti dallo scaglione comunque applicato.


Per la Cassazione, tuttavia, il ricorso non è fondato.

In caso si susseguano, in corso di causa, molteplici decreti ministeriali che stabiliscono parametri diversi per la determinazione dalle spese processuali, va valorizzato ai fini dell'applicazione della normativa, il momento in cui si conclude la controversia. Le spese, quindi, devono essere quantificate in base al testo normativo in vigore al termine della causa.


Le cause in materia di riparazione di ingiusta detenzione, chiariscono gli Ermellini, non sono cause di valore indeterminabile e lo si desume dall'art. 315 comma 2 c.p.p., quindi correttamente la Corte territoriale ha liquidato le spese di lite sulla base dei parametri relativi al III scaglione del decreto 127/2004 (relativo a cause da 25.900,01 a 51.700,00 Euro) anziché sui parametri stabiliti per le cause di valore indeterminabile.


Giusto anche non aver riconosciuto alla causa, in base alla valutazione della complessità delle questioni, il carattere della particolare importanza con conseguente aumento, sino al doppio, dei massimi previsti dallo scaglione comunque applicato. Ciò in quanto "la procedura riparatoria, pur inserendosi nel sistema processuale penale, presenta connotazioni di natura civilistica, ma di per sé non si connota per il carattere di particolare importanza".


Inoltre, "in tema di liquidazione delle spese, il giudice del rinvio deve attenersi al principio della soccombenza applicato all'esito globale del processo e non ai diversi gradi del giudizio ed al loro risultato, con la conseguenza che la parte vittoriosa nel giudizio di cassazione, ma tuttavia soccombente in rapporto all'esito finale della lite, può essere legittimamente condannata al rimborso delle spese in favore dell'altra parte anche per il grado di cassazione".


Per gli Ermellini, quindi, nell'ultima ordinanza gravata i giudici di merito hanno adeguatamente motivato la decisione di compensare le spese: ciò in quanto le questioni trattate hanno coinvolto disquisizioni interpretative relative all'applicabilità delle tariffe forensi che avevano dato luogo anche a contrasti giurisprudenziali.


Pertanto, il ricorso va rigettato e  il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali. 

Cass., IV sez. penale, sent. 55/2016

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