di Dario La Marchesina - Il processo del lavoro è stato concepito in modo tale da rendere possibile pervenire a una sentenza in tempi più brevi rispetto a quelli normalmente necessari per chi intraprende un normale giudizio di cognizione,
Il processo del lavoro si basa sui principi della concentrazione delle udienze e dell'immediatezza della decisione tanto che il giudice deve leggere il dispositivo in udienza. Non solo il processo del lavoro è esente da qualsiasi spesa e la sentenza è provvisoriamente esecutiva.
Si parla anche dle caratteri "inquisitorio" del processo del lavoro nel senso che il giudice ha il potere di disporre d'ufficio l'assunzione di qualunque mezzo di prova anche al di fuori dei limiti stabiliti dal codice civile.
Le controversie oggetto del processo del lavoro
La disciplina processuale del lavoro si applica secondo l'art. 409 c.p.c. alle controversie relative a:
- Rapporti di lavoro subordinato privato, anche non riguardante l'esercizio di un'impresa, ossia i rapporti caratterizzati dal vincolo di subordinazione che come sappiamo consiste ex art. 2094 c.c. nell'eseguire la prestazione lavorativa alle dipendenze e sotto la direzione del datore di lavoro; inoltre sono compresi anche il lavoro domestico e il lavoro a domicilio.
- Rapporti di mezzadria, di colonia parziaria, di compartecipazione agraria, di affitto a coltivatore diretto e altri rapporti derivanti da contratti agrari.
- Rapporti di agenzia, di rappresentanza commerciale e altri rapporti di collaborazione che consistono in una prestazione d'opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato; si tratta di rapporti di parasubordinazione in cui l'attività è continuativa se ha una certa durata, anche non molto lunga, ma caratterizzata dalla stabilità, è coordinata se, pur restando autonoma in quanto non sottoposta al potere gerarchico, si svolge secondo la direttive del datore di lavoro, è personale se è svolta prevalentemente di persona dal soggetto anche avvalendosi di dipendenti.
- Rapporti dei dipendenti di enti pubblici che svolgono prevalentemente attività economica e anche altri rapporti di lavoro pubblico; con il Dlgs. 165/2001 gran parte delle controversie in materia di pubblico impiego sono state attribuite al giudice del lavoro.
La competenza
Per le controversie di lavoro è competente il tribunale in composizione monocratica in funzione di giudice del lavoro; in appello è competente la Corte d'Appello.
Per individuare il giudice competente per territorio, l'art. 413 c.p.c. prevede tre fori speciali esclusivi, alternativamente concorrenti tra loro: quello in cui è sorto il rapporto, ossia dove si è perfezionato il contratto o è iniziata la prestazione lavorativa; quello dove si trova l'azienda, ossia dove si accentrano i poteri direttivi e amministrativi dell'impresa; quello della dipendenza dove il lavoratore è addetto, ossia una struttura organizzativa decentrata direttamente e strutturalmente collegata con l'azienda stessa.
Per le controversie relative ai rapporti di parasubordinazione, è competente il giudice nella cui circoscrizione si trova il domicilio dell'agente, del rappresentante di commercio o del titolare degli altri rapporti di collaborazione.
Per le controversie in materia di pubblico impiego, è competente il giudice nella cui circoscrizione ha sede l'ufficio presso il quale il dipendente pubblico opera.
Il tentativo facoltativo di conciliazione
L'art. 410 c.p.c. modificato dalla L. 183/2010 ha reso facoltativo il tentativo di conciliazione in materia di lavoro, stabilendo che chi propone in giudizio una domanda relativa ai rapporti di lavoro previsti dall'art. 409 c.p.c. può promuovere, anche tramite l'associazione sindacale alla quale aderisce o conferisce mandato, un tentativo di conciliazione presso la commissione di conciliazione istituita presso la Direzione Provinciale del Lavoro.
La comunicazione della richiesta del tentativo di conciliazione interrompe la prescrizione del diritto fatto valere e sospende, per la durata del tentativo e per i 20 giorni successivi alla sua conclusione, ogni termine di decadenza; la richiesta del tentativo di conciliazione deve essere consegnata mediante raccomandata con ricevuta di ritorno.
Se la controparte accetta la procedura di conciliazione, deposita presso la commissione di conciliazione, entro 20 giorni dal ricevimento della copia della richiesta, una memoria contenente le difese e le eccezioni in fatto o in diritto; in caso contrario, ciascuna parte è libera di adire l'autorità giudiziaria.
Se la conciliazione riesce viene redatto un verbale sottoscritto dalle parti e dai componenti della commissione di conciliazione, e il giudice, su istanza della parte interessata, lo dichiara esecutivo con decreto.
Se non si raggiunge l'accordo tra le parti, la commissione di conciliazione deve formulare una proposta per la pacifica definizione della controversia; se la proposta non è accettata, i termini di essa sono riassunti nel verbale con indicazione delle valutazioni espresse dalle parti.
Il giudice tiene conto in sede di giudizio delle risultanze della proposta formulata dalla commissione e non accettata senza adeguata motivazione.
Risoluzione arbitrale della controversia
Ai sensi dell'art. 412 c.p.c., in qualunque fase del tentativo di conciliazione o al termine di esso in caso di mancata riuscita, le parti possono indicare la soluzione, anche parziale, sulla quale concordano riconoscendo, quando è possibile, il credito che spetta al lavoratore, e possono accordarsi per la risoluzione della lite, affidando alla commissione di conciliazione il mandato a risolvere in via arbitrale la controversia.
Nel conferire mandato per la risoluzione arbitrale della controversia, le parti devono indicare il termine per l'emanazione del lodo, che non può superare i 60 giorni dal conferimento del mandato, le prove invocate dalle parti a sostegno delle loro pretese e l'eventuale richiesta di decidere secondo equità.
Il lodo emanato a conclusione dell'arbitrato, sottoscritto dagli arbitri e autenticato, produce tra le parti gli effetti di cui agli artt. 1372 e 2113 c. 4 c.c.
Mutamento del rito
a)Passaggio dal rito ordinario al rito speciale: ai sensi dell'art. 426 c.p.c., il giudice, se la causa è stata promossa nelle forme del rito ordinario ma riguarda uno dei rapporti previsti dall'art. 409 c.p.c. per i quali è richiesto il rito speciale del lavoro, dispone il mutamento del rito, fissando con ordinanza l'udienza di discussione e assegnando alle parti un termine perentorio entro il quale le stesse devono integrare gli atti introduttivi con il deposito di memorie e documenti in cancelleria.
b)Passaggio dal rito speciale al rito ordinario: l'art. 427 c.p.c. prevede una fattispecie opposta a quella precedente, stabilendo che se il giudice del lavoro ritiene che il rapporto dedotto in giudizio non rientra tra quelli previsti dall'art. 409 c.p.c., ha l'obbligo di provvedere al mutamento del rito da speciale a ordinario; in particolare se la causa introdotta con il rito speciale appartiene alla competenza del giudice adito, il giudice dispone la regolarizzazione degli atti sotto il profilo tributario, con l'avvertimento che le prove acquisite avranno l'efficacia consentita dalle norme ordinarie.
Se la causa introdotta con il rito speciale non appartiene alla sua competenza, la rimette al giudice competente assegnando un termine perentorio per la riassunzione con il rito ordinario.
L'introduzione della causa
La domanda si propone con ricorso che, a differenza dell'atto di citazione previsto per l'introduzione del processo ordinario, è rivolto direttamente al giudice attraverso il deposito in cancelleria.
Secondo l'art. 414 c.p.c. il ricorso deve contenere l'indicazione del giudice, gli elementi identificativi delle parti, la determinazione dell'oggetto della domanda ossia il petitum mediato e il petitum immediato, la fattispecie costitutiva del diritto per il quale si richiede tutela con la domanda ossia la causa petendi, l'indicazione specifica dei mezzi di prova di cui il ricorrente intende avvalersi e in particolare dei documenti che si offrono in comunicazione.
Il ricorso è depositato nella cancelleria del giudice competente con i documenti in esso indicati; a seguito del deposito, il giudice fissa con decreto l'udienza di discussione alla quale le parti sono tenute a comparire personalmente.
Il ricorso, insieme al decreto di fissazione dell'udienza, deve essere notificato all'altra parte a cura del ricorrente entro 10 giorni dalla pronuncia del decreto.
La costituzione delle parti
L'attore si costituisce in giudizio depositando il ricorso nella cancelleria del giudice competente insieme con i documenti in esso indicati; invece il convenuto ex art. 416 c.p.c. deve costituirsi in giudizio almeno 10 giorni prima dell'udienza di discussione, dichiarando la residenza o eleggendo domicilio nel comune dove ha sede il giudice adito, mediante deposito in cancelleria di una memoria difensiva nella quale devono essere proposte, a pena di decadenza, le eventuali domane riconvenzionali e le eccezioni processuali e di merito non rilevabili d'ufficio.
Nella stessa memoria il convenuto deve prendere posizione sui fatti affermati dall'attore a fondamento della domanda, proporre tutte le sue difese e indicare specificatamente i mezzi di prova dei quali intende avvalersi; l'omessa contestazione dei fatti affermati dall'attore a fondamento della domanda comporta l'inopponibilità della contestazione nelle successive fasi del processo, l'acquisizione del fatto non contestato se il giudice non lo esclude sulla base delle risultanze del processo.
L'intervento dei terzi
Il terzo che vuole intervenire nel processo del lavoro deve depositare una memoria costituendosi almeno 10 giorni prima dell'udienza di discussione; il giudice fissa con decreto una nuova udienza e dispone che entro il termine di 5 giorni siano notificati la memoria e il decreto di fissazione della nuova udienza alle parti originarie.
L'intervento non è ammissibile se effettuato oltre il termine di 10 giorni prima dell'udienza di discussione ex art. 415; l'unico caso in cui l'intervento può essere effettuato oltre tale termine è quello in cui sia giustificato dalla domanda riconvenzionale proposta dal convenuto.
L'intervento deve essere realizzato con una memoria scritta che dovrà avere il contenuto del ricorso qualora il terzo proponga una propria domanda, mentre se si limita a sostenere la posizione di una delle parti dovrà avere il contenuto previsto per la memoria difensiva del convenuto.
La fase istruttoria
Nell'udienza di discussione della causa disciplinata dall'art. 420 c.p.c. il giudice: effettua le verifiche preliminari, e in particolare verifica la presenza e la costituzione delle parti, e qualora le stesse non dovessero comparire neanche nella nuova udienza fissata, si dispone la cancellazione della causa dal ruolo; interroga liberamente le parti presenti, tenta la conciliazione della lite e formula alle parti una proposta transattiva.
Le risposte date dalle parti in sede di interrogatorio libero sono utilizzabili dal giudice come elemento di convincimento; le parti, se ricorrono gravi motivi, possono modificare le domande, le eccezioni e le conclusioni già formulate, previa autorizzazione del giudice.
Inoltre il giudice provvede all'ammissione dei mezzi di prova proposti dalle parti e di quelli che le parti non hanno potuto proporre prima, disponendo con ordinanza la loro immediata assunzione; assume le prove nella stessa udienza o, se non è possibile, in un'udienza fissata entro 10 giorni.
Una volta conclusasi l'assunzione degli elementi probatori, il giudice invita le parti alla discussione orale che si conclude con le rispettive conclusioni; al termine della discussione orale e udite le conclusioni delle parti, pronuncia la sentenza in udienza dando lettura del dispositivo.
La sentenza deve essere depositata in cancelleria entro 15 giorni dalla pronuncia e il cancelliere ne dà immediata comunicazione alle parti.
Ai sensi dell'art. 420 bis c.p.c., quando per la definizione di una controversia di lavoro è necessario risolvere una questione pregiudiziale riguardante l'efficacia, la validità o l'interpretazione delle clausole di un contratto o di un accordo collettivo nazionale, il giudice decide con sentenza tale questione dando gli opportuni provvedimenti per la prosecuzione della causa e fissando una successiva udienza in data non anteriore a 90 giorni; la sentenza è impugnabile soltanto con ricorso immediato per cassazione, da proporsi entro 60 giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza.
I poteri istruttori del giudice
Il giudice del lavoro dispone di poteri istruttori molto ampi; egli secondo l'art. 421 c.p.c. indica alle parti le irregolarità degli atti e dei documenti che possono essere sanate; può disporre d'ufficio l'ammissione di ogni mezzo di prova; può disporre, su istanza di parte, l'accesso sul luogo di lavoro se necessario per l'accertamento dei fatti; può ordinare la comparizione anche di persone incapaci di testimoniare; può disporre, su istanza di parte, il pagamento delle somme non contestate.
Inoltre, se la controversia lo richiede, il giudice può nominare d'ufficio o su istanza di parte, uno o più consulenti tecnici dopo aver sentito le parti; nominato il consulente, il giudice fissa un'altra udienza assegnando alle parti un termine per la nomina dei propri consulenti di fiducia.
Esecutorietà della sentenza
Le sentenze che pronunciano condanna del datore di lavoro a favore del lavoratore sono provvisoriamente esecutive; all'esecuzione si può procedere con la sola copia del dispositivo in attesa del deposito della sentenza.
Tuttavia il giudice d'appello può disporre con ordinanza non impugnabile che l'esecuzione sia sospesa quando dalla stessa può derivare gravissimo danno all'altra parte; la sospensione può anche essere parziale e in ogni caso l'esecuzione provvisoria resta autorizzata fino alla somma di 258,23 euro.
Anche le sentenze che pronunciano condanna a favore del datore di lavoro sono provvisoriamente esecutive, ma solo per quelle a favore del lavoratore è possibile procedere all'esecuzione forzata sulla base del solo dispositivo della sentenza.
L'appello
Contro le sentenze pronunciate dal tribunale del lavoro si propone appello alla Corte d'Appello territorialmente competente in funzione di giudice del lavoro; sono inappellabili, e invece ricorribili in cassazione, le sentenze che hanno deciso una controversia di valore non superiore a 25,82 euro.
Ai sensi dell'art. 434 c.1 c.p.c. il ricorso in appello deve contenere le indicazioni previste dall'art. 414 c.p.c. e deve essere motivato; la motivazione dell'appello deve contenere, a pena di inammissibilità, l'indicazione delle parti del provvedimento che si intendono appellare e delle modifiche che vengono richieste rispetto quanto statuito dal giudice di primo grado, l'indicazione delle circostanze da cui deriva la violazione della legge e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata.
Il 2° comma precisa che il ricorso deve essere depositato nella cancelleria della Corte d'Appello entro 30 giorni dalla notificazione della sentenza.
Nel rito del lavoro vi è la possibilità dell'impugnazione immediata della sentenza con riserva dei motivi; infatti poiché la sentenza di primo grado è provvisoriamente esecutiva e il lavoratore può procedere all'esecuzione con la sola copia del dispositivo, il datore di lavoro può impugnare la sentenza non appena il lavoratore la rende esecutiva, riservandosi di depositare i motivi dell'appello successivamente, dopo che il tribunale avrà depositato le motivazioni della sentenza.
Infine l'appellante può chiedere la sospensione dell'esecuzione della sentenza quando possa derivare un gravissimo danno.
Dario La Marchesina