È escluso il dolo di calunnia se i dubbi sulla colpevolezza del denunciato si pongono su di un piano di ragionevolezza e quindi risultano fondati su elementi di fatto non solo veritieri, ma connotati da un riconoscibile margine di serietà.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, sez. VI Penale, nella sentenza n. 1399/2015 (qui sotto allegata), pronunciandosi sul ricorso di una donna ritenuta colpevole del reato di calunnia ai danni del marito, per aver sporto querela ai Carabinieri accusando il primo, che la prevenuta sapeva innocente, del reato di cui all'art. 570 cod. pen. (violazione degli obblighi di assistenza familiare).
In realtà, non sempre la "controdenuncia" per calunnia, opposta per reagire alla querela, trova terreno fertile.
Infatti, nel caso di specie gli Ermellini hanno puntualmente valutato gli effetti che l'archiviazione del procedimento già avviato nei confronti del marito ha sull'esito del procedimento penale aperto a danno della denunciante.
Per il giudice di prime cure, la donna avrebbe falsamente dichiarato che il coniuge non aveva versato le somme dovute a lei e ai figli provocando una loro situazione di indigenza.
Ciò sarebbe apparso erroneo agli occhi del Tribunale, che accertava, di contro a quanto dichiarato in denuncia, come l'ex marito aveva inviato mensilmente somme, a mezzo vaglia, per il mantenimento di moglie e figli, in favore dei quali lo stesso aveva provveduto anche al pagamento di altre spese.
Anche in sede di gravame era apparse idonee prove che, nell'epoca in cui non era ancora intervenuto alcun provvedimento del Giudice civile diretto a disciplinare il rapporto tra i coniugi, l'uomo aveva cercato di fare il possibile per venire incontro alle esigenze di figli e moglie.
In realtà, rappresenta la difesa della donna, mancherebbe il dolo per integrare il reato di calunnia.
Infatti, la ricorrente si sarebbe limitata a segnalare in denuncia la situazione di indigenza che avrebbe connotato la vita familiare propria e dei tre figli; il disinteresse del marito rispetto agli obblighi di assistenza materiale e morale nei confronti del nucleo familiare; la circostanza che il coniuge percepisse un netto in busta paga oscillante tra i milleduecento ed i millequattrocento Euro; il fatto che nel periodo in contestazione l'uomo avesse versato alla famiglia solo 920,00 Euro.
Addirittura, in un secondo momento l'imputata avrebbe anche integrato l'atto di querela indicando in modo analitico la percezione di ulteriori acconti ricevuti in epoca successiva al deposito della prima querela, chiaro sintomo della mancanza in capo all'imputata dell'elemento soggettivo della contestata fattispecie.
Il motivo appare fondato.
Il tema su cui si pronunciano i giudici appartiene al carattere che devono rivestire i sospetti, le congetture o le supposizioni di illiceità del fatto denunciato perché possa poi escludersi in capo al denunciante, che attribuisca ad altri un reato, la consapevolezza dell'innocenza dell'incolpato.
Quindi, essenzialmente, se possa incolparsi il denunciante di calunnia nel caso vi sia stato un errore nel denunciare un determinato fatto.
Per la Corte non si tratta di un automatismo: infatti, il dolo di calunnia resta escluso se sia ragionevole presumere la colpevolezza del denunciato, basandosi la denuncia su elementi di fatto apparentemente veritieri e connotati da un riconoscibile margine di serietà.
Deve sostanzialmente "trattarsi di dubbi tali da poter essere condivisi da un cittadino comune che si trovi nella medesima situazione di conoscenza".
Nell'apprezzamento condotto sui contenuti dell'errore del denunciante sulla colpevolezza del denunciato, la giurisprudenza di legittimità ha nel tempo puntualizzato che ove l'errore "riguardi fatti storici concreti, suscettibili di verifica o, comunque, si esprima per una non corretta rappresentazione dei fatti in denuncia, alla omissione della verifica o rappresentazione consegua la dolosità dell'accusa espressa in termini perentori".
Se, invece, l'erroneo convincimento riguarda profili essenzialmente valutativi della condotta oggetto di accusa - ipotesi in cui l'attribuzione dell'illiceità è guidata da una pregnante inferenza soggettiva - ove la prima non risulti fraudolenta o consapevolmente forzata, quel convincimento è inidoneo ad integrare il dolo tipico della calunnia.
La circostanza che l'imputata avesse aggiornato, con atto di impulso integrativo e successivo al primo, la situazione di debito dell'ex marito, è espressiva di una volontà di puntualizzare reciproche ragioni di debito-credito; la seconda iniziativa, inoltre, ha sortito l'effetto di alleggerire la posizione del coniuge dando contezza dei suoi successivi versamenti.
Risulta del tutto estraneo quell'intento proprio del dolo di calunnia, ossia attribuire ad altri la commissione di un reato consapevoli dell'innocenza del soggetto accusato, mentre l'articolata iniziativa dell'imputata esprime la diversa volontà di dare chiarezza ad un composito quadro di obbligazioni che ben poteva prestarsi, nella sua obiettiva consistenza, ai dubbi espressi dalla prevenuta nella querela circa il mancato integrale adempimento del coniuge agli obblighi penalmente sanzionati.
La sentenza dunque va annullata senza rinvio perché il fatto non costituisce reato.
Cass., VI sez. penale, sent. 1399/2015