di Lucia Izzo - Se gli scritti difensivi contengono espressioni offensive, i danni li paga la parte e non l'avvocato.
E' quanto chiarisce la Corte di Cassazione, sezione terza civile, nella sentenza n. 3274/2016 (qui sotto allegata) che ha accolto il ricorso presentato da un avvocato che i giudici di merito avevano condannato al risarcimento danni ai sensi dell'art. 89 c.p.c. dopo aver ordinato la cancellazione delle espressioni "incriminate".
La norma dispone testualmente che "Negli scritti presentati e nei discorsi pronunciati davanti al giudice, le parti e i loro difensori non debbono usare espressioni sconvenienti od offensive. Il giudice, in ogni stato dell'istruzione, può disporre con ordinanza che si cancellino le espressioni sconvenienti od offensive, e, con la sentenza che decide la causa, può inoltre assegnare alla persona offesa una somma a titolo di risarcimento del danno anche non patrimoniale sofferto, quando le espressioni offensive non riguardano l'oggetto della causa".
Il legale ricorreva in cassazione facendo notare che lui non è parte del processo e che pertanto non poteva essere condannato a pagare il risarcimento del danno.
Per gli Ermellini la contestazione è fondata trattandosi di un difetto di legittimazione passiva del legale che non è parte del giudizio.
In altri termini, scrive la corte, "ai sensi dell'art. 89 c.p.c., delle offese contenute negli scritti difensivi risponde sempre la parte, anche quando provengano dal difensore, sia perché gli atti di quest'ultimo sono sempre riferibili alla parte, sia perché la sentenza può contenere statuizioni dirette soltanto nei confronti della parte in causa".
Naturalmente la parte, se condannata, potrà poi rivalersi nei confronti del difensore, cui siano addebitabili le espressioni offensive, ove ne ricorrano le condizioni.
La Cassazione ciarisce da ultimo che il difensore della parte può essere, invece, passivamente legittimato a titolo personale, nell'azione per danni da espressioni offensive contenuti negli atti di un processo, quando questa è proposta davanti a un giudice diverso da quello che ha definito quest'ultimo, ove sia prospettata una specifica responsabilità del difensore stesso o non sia più possibile agire ai sensi dell'art. 89 c.p.c., per lo stadio processuale in cui la condotta offensiva ha avuto luogo.
Cass., sez. III civ. sent. 3274/2016