di Marina Crisafi - Attenzione a sfogarsi su Facebook. Per la diffusione di messaggi offensivi attraverso la bacheca scatta la diffamazione aggravata, paragonabile a quella a mezzo stampa. Ad affermarlo è la Cassazione, con la sentenza n. 8328/2016, depositata ieri (qui sotto allegata), confermando la linea dura nei confronti di chi usa i social network quale valvola di sfogo per scaricare rabbia, frustrazioni o sete di vendetta nei confronti di personaggi pubblici, semplici colleghi o capi.
Nella vicenda, a finire nel mirino l'ex commissario straordinario della Croce Rossa, da parte di un componente della stessa associazione, che, dissentendo da alcune scelte e iniziative adottate, aveva diffuso su di lui diversi post offensivi (dal contenuto inequivocabile, come "parassita", "cialtrone", "mercenario", ecc.) diffondendoli ad ampio raggio tramite la bacheca e allegando anche una foto che identificava la persona offesa.
La Cassazione non ha dubbi sulla conferma della condanna per diffamazione.
Questo perché tale reato "può essere commesso a mezzo di internet, sussistendo, in tal caso, l'ipotesi aggravata di cui al terzo comma della norma incriminatrice, dovendosi presumere la ricorrenza del requisito della comunicazione con più persone, essendo per sua natura destinato ad essere normalmente visitato in tempi assai ravvicinati da un numero indeterminato di soggetti".
In particolare, a detta del Palazzaccio, "anche la diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l'uso di una bacheca 'facebook' integra un'ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell'art. 595, comma terzo, c.p., poiché ha potenzialmente la capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone, sia perché, per comune esperienza, bacheche di tal natura racchiudono un numero apprezzabile di persone (senza le quali la bacheca Facebook non avrebbe senso), sia perché l'utilizzo di Facebook integra una delle modalità attraverso le quali gruppi di soggetti socializzano le rispettive esperienze di vita, valorizzando in primo luogo il rapporto interpersonale, che, proprio per il mezzo utilizzato, assume il profilo del rapporto interpersonale allargato ad un gruppo indeterminato di aderenti al fine di una costante socializzazione".
Per cui, la condotta di postare un commento su FB, si legge infine nella sentenza, realizza "la pubblicizzazione e la diffusione di esso, per la idoneità del mezzo utilizzato a determinare la circolazione del commento tra un gruppo di persone, comunque, apprezzabile per composizione numerica, di guisa che, se offensivo tale commento, la relativa condotta rientra nella tipizzazione codicistica descritta dall'art. 595 c.p.p.".
Legittima dunque la condanna dell'uomo alla pena di 1.500 euro di multa oltre al pagamento delle spese processuali.
Cassazione, sentenza n. 8328/2016
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