Nel fare ciò, i giudici hanno innanzitutto ricordato che, ai sensi della legge numero 576/1980, la pensione di anzianità è corrisposta a coloro che abbiano maturato almeno 35 anni di effettiva iscrizione e contribuzione alla Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense e che tale previsione va interpretata nel senso che l'iscrizione in tanto può ritenersi effettiva in quanto sia accompagnata dall'esercizio dell'attività professionale.
Su tale necessaria premessa, la Cassazione ha chiarito entro quali limiti temporali la Cassa può verificare l'effettività dell'esercizio della professione, precisando che tale verifica non può andare oltre il quinquennio precedente la domanda di pensione solo nel caso in cui non è stata esercitata la facoltà di revisione e l'interessato abbia adempiuto agli obblighi di comunicazione.
Con la medesima pronuncia, i giudici hanno affrontato anche numerose altre tematiche di rilievo nei rapporti tra avvocati e Cassa, precisando tra le altre cose che, in via generale, sussiste un obbligo in capo all'ente previdenziale degli avvocati di verificare l'esistenza del requisito del legittimo esercizio della professione.
A tal fine la Cassa è munita di un autonomo potere di accertamento dei requisiti per l'iscrizione e, in assenza di essi, può anche procedere all'annullamento della posizione contributiva dell'iscritto. Ciò ovviamente senza compromettere in alcun modo lo status professionale dello stesso che, infatti, deriva dall'iscrizione all'albo.
Corte di cassazione testo sentenza numero 4092/2016