di Valeria Zeppilli - Le porte delle aule di giustizia sono ormai ufficialmente aperte alla recente depenalizzazione.
Un mese è stato sufficiente per iniziare a percepire in maniera significativa le conseguenze del decreto legislativo numero 7/2016, entrato in vigore il 6 febbraio scorso.
Si pensi, ad esempio, alla sentenza numero 8839/2016, depositata dalla seconda sezione penale della Corte di cassazione il 3 marzo 2016 (qui sotto allegata): con essa i giudici hanno accolto il ricorso presentato da un imputato avverso la sentenza con la quale il Tribunale di Cosenza, avvalorando quanto già statuito dal Giudice di pace della medesima città, lo aveva condannato per i reati di minaccia e danneggiamento non aggravati.
La pena inflittagli era quella della multa di 1.833,34 euro e del risarcimento del danno alla parte civile.
L'imputato, in particolare, chiedeva di essere sollevato dalla condanna per danneggiamento facendo leva sul fatto che il giudice del merito avrebbe errato nel non dichiarare l'improcedibilità dell'azione per difetto di querela.
Ma non è necessario per il ricorrente sforzarsi in tal senso: alla luce dell'intervenuta depenalizzazione della fattispecie nei casi, come quello di specie, in cui essa non sia connotata da violenza o minaccia alla persona o comunque per altra ragione aggravata, il fatto di per sé non è più previsto dalla legge come reato.
L'abrogazione del reato di danneggiamento, quindi, comporta l'annullamento della parte della sentenza che lo riguarda, con rinvio limitatamente al trattamento sanzionatorio: la condanna per minacce, infatti, resta nonostante le doglianze del ricorrente e il giudice del merito deve rimodulare la pena base, fissata ritenendo più grave il danneggiamento.
Corte di cassazione testo sentenza numero 8839/2016