di Marina Crisafi - Un'aggressione passi, due no. Così, la fedina sporca del cane vale senz'altro la condanna per il padrone. A stabilirlo è la quarta sezione penale della Cassazione con la sentenza n. 10720/2016 (depositata il 14 marzo e qui sotto allegata), rigettando il ricorso di un uomo avverso la decisione dei giudici di merito che lo avevano condannato per il reato di lesioni colpose in quanto responsabile di omessa custodia del suo cane che, all'interno di un cortile privato e recintato, aveva morso una persona.
A risultare decisiva ai fini della condanna del padrone è proprio la condotta dell'animale, colpevole di aver già aggredito in passato, nel medesimo luogo, un'altra persona. E a nulla vale la diversa lettura dei fatti proposta dalla difesa, secondo la quale non essendo la vittima una persona estranea ed essendo la stessa consapevole della presenza dell'animale, poteva ritenersi soddisfatto "l'obbligo cautelare" ed era dunque da escludere l'elemento di colpa di cui all'art. 672, comma 1, c.p.
Dal Palazzaccio ritengono, invece, che la circostanza non renda meno grave la responsabilità del proprietario, giacché "in tema di custodia di animali, l'obbligo di custodirli in modo adeguato idoneo ad evitare danni a terzi sorge ogni volta che sussista una relazione di possesso o di semplice detenzione tra l'animale e una data persona, posto che l'articolo 672 c.p. relaziona l'obbligo di non lasciare libero l'animale o di custodirlo con le debite cautele al possesso dell'animale e tale obbligo cautelare si correla appunto all'esigenza di evitare rischi a terzi che possano entrare in contatto con l'animale".
Rispetto a situazioni in cui, come quella di specie, gli animali sono lasciati liberi in spazi recintati ma di uso comune, è chiaro, si legge in sentenza, che "l'obbligo di custodia non può che avere come contenuto quel minimo di regole prudenziali che evitino rischi per l'incolumità degli altri legittimi frequentatori del sito, pur non definibili come estranei".
Per di più, proprio in virtù dei "precedenti" del cane, l'uomo avrebbe dovuto essere ancora più accorto, adottando una particolare cautela, risultata di fatto mancante.
Per cui, nessuna attenuante può essere concessa al padrone e, quindi, il ricorso va rigettato, con conferma della condanna anche al pagamento delle spese processuali, al risarcimento alla parte civile e alla multa da versare alla cassa delle ammende.
Cassazione, sentenza n. 10720/2016
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