di Valeria Zeppilli - La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 11402/2016 (qui sotto allegata), ha posto un altro interessante tassello nel quadro interpretativo della disciplina relativa agli accertamenti mediante alcoltest.
Il ricorso, in particolare, era stato proposto dal procuratore generale presso la Corte di appello de L'Aquila avverso la sentenza con la quale il Tribunale di Pescara, nell'applicare una pena concordata per il reato di rifiuto sottoporsi all'esame alcolemico, non aveva considerato che nel caso di specie si sarebbe dovuto prevedere il raddoppio della sanzione amministrativa, dato che il veicolo condotto in stato di ebbrezza non era di proprietà del conducente.
Come ricordato dalla Corte, dopo la proposizione del ricorso della vicenda si sono occupate le Sezioni Unite, chiamate a chiarire se, nel caso di rifiuto a sottoporsi all'esame alcolemico, il rinvio operato all'art. 186, comma 2, lettera c) del codice della strada è limitato al trattamento sanzionatorio previsto per la fattispecie più grave di guida in stato di ebbrezza o è esteso anche alla previsione del raddoppio della durata della sospensione della patente di guida se il veicolo appartiene a persona estranea al reato.
Tale contrasto è stato risolto dalle sezioni unite, con la sentenza numero 46624/2015, adottando la soluzione negativa. Ciò in ragione delle modifiche apportate alla formulazione originaria del comma sette dell'articolo 186 dal decreto legge numero 92/2008 e del fatto che oggi, in conseguenza, il dato letterale della norma tiene ben distinti il rinvio alle pene di cui al comma 2, lettera c) e quello alle modalità e procedure previste dal comma 2, lett. c).
Così, non è possibile ritenere che il regime sanzionatorio concernente la sanzione accessoria della sospensione della patente di guida possa mutuarsi dall'articolo 186, comma 2, lett. c) del codice della strada.
Insomma: per le Sezioni Unite, quando il legislatore ha determinato la sanzione amministrativa della sospensione della patente di guida prevedendo limiti edittali superiori rispetto a quelli indicati nell'articolo 186, comma 7, lo ha fatto esplicitamente, lasciando così presumere ragionevolmente che, nella fattispecie in esame, vi sia stata una precisa scelta di non procedere a un rinvio ad altra norma.
Forte di tale interpretazione, quindi, la Cassazione, con la sentenza dello scorso 17 marzo, non ha ritenuto meritevoli di accoglimento le doglianze proposte dal ricorrente.
Corte di cassazione testo sentenza n. 11402/2016