di Lucia Izzo - Va condannato per esercizio abusivo della professione chi su internet pubblicizza la propria attività qualificandosi come "psicosomatista di impresa" e in sostanza esercita abusivamente una professione intimamente connessa con quella di psicologo, il cui esercizio è riservato dalla legge ai laureati in Psicologia regolarmente iscritti al relativo albo.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, sesta sezione penale, nella sentenza n. 16562/2016 (qui sotto allegata) confermando la condanna inflitta a una donna dai giudici di merito in ordine al reato di cui all'art. 348 cod. pen.
A nulla vale quanto sostenuto dalla donna nei motivi di ricorso, ossia di aver esercitato una distinta attività, quella di "counseling psicologico", sottratta all'inquadramento ordinistico.
In sostanza, la ricorrente ritiene mancante la necessaria correlazione tra accusa e sentenza, nonché un compiuto accertamento dell'attività da lei effettivamente esercitata, posto che, in caso di insufficienza del semplice counseling aveva indirizzato i propri clienti a psicologi iscritti all'ordine.
Si tratta di indicazioni che non convincono gli Ermellini i quali, in punto di diritto, rammentano che la legge 18 febbraio 1989, n. 56, che ha disciplinato l'ordinamento della professione di psicologo, ha stabilito all'art. 1 che essa comprende l'uso degli strumenti conoscitivi e di intervento per la prevenzione, la diagnosi, le attività di abilitazione-riabilitazione e di sostegno in ambito psicologico rivolte alla persona, al gruppo, agli organismi sociali e alle comunità, comprendendo altresì le attività di sperimentazione, ricerca e didattica in tale ambito.
La stessa legge ha disposto che l'esercizio dell'attività psicoterapeutica sia subordinato ad una specifica formazione professionale, da acquisirsi, dopo il conseguimento della laurea in psicologia o in medicina e chirurgia, mediante corsi di specializzazione almeno quadriennali che prevedano adeguata formazione e addestramento in psicoterapia a mezzo di scuole di specializzazione universitaria o presso istituti a tal fine riconosciuti.
Il disposto normativo dell'art. 348 cod. pen. tutela gli interessi della collettività al regolare svolgimento delle professioni e il delitto viene integrato, nel caso in esame, dallo svolgimento delle attività di psicologo in assenza dell'iscrizione nel relativo albo professionale.
I giudici di merito, con un'analisi processuale corretta e aderente ai criteri giurisprudenziali, hanno verificato che i clienti si rivolgevano alla ricorrente a causa di disturbi di natura psicologica (ansia, ricadute emotive dell'obesità, ecc.), ottenendo, sulla base di sedute fondate sul dialogo, una guida comportante l'indicazione dei rimedi volti alla prevenzione del disagio e/o alla guarigione del paziente.
Ciò sostanzialmente esclude la ricorrenza nel caso di specie, connotato di fatto da attività di diagnosi e cura, dell'attività di counseling psicologico; inoltre, aggiungono i giudici di legittimità, questo genere di attività, vista l'ampiezza della definizione contenuta nell'art. 1 L. 56/1989 e le specifiche condizioni alle quali il successivo art. 3 della stessa legge subordina l'esercizio di attività di psicoterapia, non pare per sua natura, anche in relazione alla intrinseca delicatezza e complessità dell'ambito di intervento, difforme da quella propria dello psicologo.
Neppure può essere accolta la richiesta di non punibilità per particolare tenuità fel fatto.
I giudici di merito hanno concordemente descritto modalità del fatto tali, per continuità, onerosità ed organizzazione, da creare l'oggettiva apparenza di un'attività professionale posta in essere da persona con competenze specifiche e regolarmente abilitata, sicché appare preclusa ogni possibile valutazione delle condotte contestate nel senso di una loro particolare tenuità, riconducibile all'operatività dell' art. 131 bis cod. pen..
Cass., VI sez. pen., sent. n. 16562/2016