di Lucia Izzo - Va condannato per diffamazione il rappresentante sindacale del liceo che affigge nella bacheca delle comunicazioni uno scritto in cui dà al preside dell'istituto dello "squallido" in quanto ritiene il suo comportamento non all'altezza del ruolo ricoperto.
Lo ha confermato la Corte di Cassazione, prima sezione penale, nella sentenza n. 17603/2016 (qui sotto allegata).
La vicenda torna all'attenzione del collegio dopo che la quinta sezione aveva in precedenza già annullato la sentenza che assolveva l'imputato dal reato di diffamazione, rinviando al giudice di merito
Si tratta del rappresentante sindacale di un liceo, condannato per diffamazione nei confronti del dirigente scolastico: il ricorrente aveva, infatti, redatto e affisso nella bacheca delle comunicazioni sindacali, uno scritto in cui qualificava "squallido il comportamento del preside" che avrebbe fatto un processo sommario al docente in un presunto consiglio di classe allargato.
"Questo preside non è all'altezza del proprio compito" si legge ancora nel manifesto, espressioni che il giudice di legittimità aveva considerato offensive, escludendole dalla continenza formale della critica.
Per gli Ermellini, definire squallida e incompetente la condotta del preside sfociava in un attacco personale, con espressioni direttamente calibrate a ledere la dignità morale, professionale d intellettuale dell'avversario e del contraddittore, e a ferire direttamente la persona dell'autore della condotta medesima.
Il giudice del rinvio, pertanto, aveva confermato la pena inflitta, ritenendo sussistente l'elemento materiale del reato e assente la scriminante dell'esercizio del diritto di critica.
In adesione ai principi esposti nella sentenza di annullamento, si osservava che la critica consiste in un dissenso motivato, mentre, al contrario, l'accusa rivolta nei confronti del dirigente scolastico era lesiva del diritto all'integrità della reputazione, in relazione ai doveri a suo carico per i quali era stato ritenuto misero ed inadeguato.
Inoltre, si aggiungeva che lo scritto era lacunoso perché, in assenza di ogni riferimento concreto alla specifica vicenda, non consentiva ai potenziali lettori, diversi da quelli interessati, di comprendere i termini di quelle critiche, ma soltanto di percepire un attacco immotivato alla dignità personale e professionale del dirigente scolastico, senza essere in grado di formarsi una opinione.
Nel nuovo ricorso in Cassazione originato dalla vicenda a nulla valgono le doglianze difensive, secondo cui il diritto di critica sindacale avrebbe consentito di fatto l'utilizzo di espressioni ben più forti, come avallato anche dalla stessa giurisprudenza nell'ambito della contesta politica e sindacale stante l'ampiezza dell'interpretazione del requisito della continenza.
Inoltre, siccome il volantino era stato affisso negli spazi sindacali ciò avrebbe, secondo il ricorrente, consentito di perimetrare l'area della critica redendola comprensibile alla platea di lettori.
Gli Ermellini, rigettando il ricorso, rammentano che il diritto di critica, garantito dall'art. 21 Cost, "si concretizza nell'espressione di un giudizio, di un'opinione che, come tale, non può pretendersi rigorosamente obiettiva, posto che la critica non può che essere fondata su un'interpretazione necessariamente soggettiva dei fatti ed i limiti scriminanti sono solo quelli costituiti dalla rilevanza sociale dell'argomento e dalla correttezza di espressione, dovendosi considerare superati tali limiti ove l'agente trascenda in attacchi personali, diretti a colpire su un piano individuale la sfera morale, penalmente protetta, del soggetto criticato".
Le modalità di estrinsecazione del diritto di critica, chiariscono i giudici, non devono superare i limiti della continenza espressiva: continenti sono quei termini che non hanno equivalenti e non sono sproporzionati rispetto ai fini del concetto da esprimere e alla controllata forza emotiva suscitata della polemica su cui si vuole instaurare un lecito rapporto dialogico e dialettico
Non si tratta dunque di valutare la veridicità di proposizioni assertive, per le quali possa configurarsi un onere di previo riscontro della loro rispondenza al vero, quanto piuttosto di stimare la correttezza delle espressioni usate.
Soprattutto la critica sindacale, attinente cioè agli scopi ed interessi di una categoria di professionisti o lavoratori, tende a esplicarsi con l'uso di toni oggettivamente aspri e polemici, senza che possa così essere interessata la sfera penale, salvo, come in precedenza rilevato, il limite del rispetto dell'altrui dignità morale.
In questa ottica è stato affermato che il requisito della continenza è superato solo in presenza di espressioni che, in quanto gravemente infamanti e inutilmente umilianti, trasmodino in una mera aggressione verbale del soggetto criticato, dovendosi peraltro valutare il contesto nel quale la condotta si colloca, sia pure ai limitati fini del giudizio di stretta riferibilità delle espressioni potenzialmente diffamatorie al comportamento del soggetto passivo oggetto di critica.
Nel caso di specie è stata valutata la natura diffamatoria del volantino con riguardo alla genericità dell'accusa rivolta al preside, in termini tali da non consentire la ricostruzione della vicenda.
Emerge una chiara connotazione personale delle espressioni utilizzate, il cui obiettivo era l'autore di quel comportamento, uti singulus e non per la carica rivestita, traducendosi in una gratuita ed immotivata aggressione alla sfera personale del destinatario.
Si ritengono superati anche i limiti della rilevanza dell'argomento all'interno dell'istituto scolastico, avendo la pubblicazione in bacheca travalicato la sfera dei soggetti in grado di percepire i termini dello specifico episodio e di formarsi una ragionata opinione in proposito.
La critica, conclude il Collegio, quando si esprime nella stigmatizzazione di comportamenti o fatti, deve avere per connotato essenziale l'obiettivo di contribuire all'approfondimento della conoscenza ed alla formazione di un giudizio autonomo da parte dei destinatari del messaggio, di tal che l'impossibilità di ricostruire il contesto e decifrare i termini adoperati non consente di ravvisare l'esimente dell'esercizio del diritto.
Cass., I sez. pen., sent. 17603/2016• Foto: 123rf.com