di Marina Crisafi - Il marito non può fare il ficcanaso sulla posta indirizzata alla moglie. Anche se si tratta solo delle bollette delle utenze relative all'abitazione, è integrato il reato di violazione di corrispondenza. Ad affermarlo è la quinta sezione penale della Cassazione, con la sentenza n. 18462/2016 depositata oggi (qui sotto allegata) che ha dichiarato inammissibile il ricorso di un uomo avverso la condanna inflitta dal giudice d'appello per il delitto ex art. 616 c.p.
A presentare la querela era stata direttamente la moglie che, allontanatasi di casa, mentre era in corso il procedimento di separazione, aveva lamentato che l'uomo anziché inviarle la corrispondenza al nuovo indirizzo come da lei espressamente richiesto, aveva pensato bene di aprire la sua posta.
I giudici di merito le avevano dato ragione. L'uomo infatti non poteva appellarsi alla scriminante di aver aperto le missive nell'interesse della donna, visto che era evidente che lei non lo aveva delegato. E cosa ancor più grave aveva ammesso di non averle visionate per errore ma consapevolmente.
Ciò basta alla Suprema Corte per confermare la condanna.
Per il delitto contestato di cui al primo comma dell'art. 616 c.p., infatti, hanno affermato dal Palazzaccio, è "sufficiente la consapevolezza di prendere conoscenza del contenuto di corrispondenza diretta esclusivamente ad altri". E a nulla rileva "la presa di conoscenza delle missive contenenti bollette afferenti i consumi delle utenze pertinenti la casa coniugale, poiché concorrente specifico interesse in capo anche al marito effettivo occupante della stessa e fruitore dei servizi erogati".
Reato confermato, quindi, e uomo condannato anche a pagare le spese di giudizio e mille euro a favore della cassa per le ammende.
Cassazione, sentenza n. 18462/2016
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