La condotta è lesiva della reputazione dell'ente e in grado di raggiungere un numero indeterminato di persone

di Marina Crisafi - Attenzione a dare via libera a sfoghi verbali contro il consiglio dell'ordine degli avvocati su Facebook. Il rischio è una condanna per diffamazione aggravata ex art. 595, comma 3, c.p., giacché la pubblicazione di post offensivi sul social è lesiva della reputazione dei membri dell'ente e in grado, potenzialmente, di raggiungere un numero indeterminato di persone, o comunque un quantitativo numerico apprezzabile. È quanto emerge dalla sentenza

n. 79/2016 (qui sotto allegata) con la quale il Tribunale di Genova ha condannato un uomo che relativamente a una vicenda giudiziaria che coinvolgeva il proprio avvocato di fiducia, aveva pubblicato sulla propria bacheca Facebook un post definendo "prezzolato" il consiglio dell'ordine di appartenenza del legale ed etichettandolo con frasi volgari. Frasi che per il giudice ligure contengono nel loro insieme "una carica lesiva del decoro e del prestigio della persona offesa, in sostanza accusata di riceve denaro o altri vantaggi (anche non solo economici) per tenere un determinato comportamento e per (s)vendere i propri servigi". Ma non solo. Essendo state pubblicate su Facebook, è sussistente l'aggravante del mezzo di pubblicità in quanto l'utilizzo dei social permette la diffusione ad un numero più o meno ampio di persone, soprattutto nei casi, come nella fattispecie, in cui non ci sono filtri all'accesso alla pagina personale, consentendo a chiunque abbia accesso ad internet di visionarne il contenuto.

Né può trovare applicazione, per il tribunale, la scriminante del diritto di critica o di critica politica, giacché, nel primo caso è richiesto, oltre alla veridicità del fatto anche il requisito della continenza, che non può applicarsi quando la frase utilizzata trasmoda "in una vera e propria aggressione verbale del soggetto criticato, risolvendosi nell'uso di espressioni gravemente infamanti"; nel secondo, che comunque esula dalla fattispecie, non sono ammesse espressioni usate "per aggredire in modo volgare, violento e ingiurioso gli avversari o anche solo gli antagonisti".

Da qui la conferma della condanna.

Tribunale Genova, sentenza n. 79/2016

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