di Marina Crisafi - Se l'avvocato promuove una causa completamente infondata è sempre responsabile. Non basta, per andare esente da responsabilità professionale dimostrare l'esistenza del consenso da parte del cliente, ma occorre invece la prova che ha tentato in ogni modo di dissuaderlo. In capo all'avvocato, in sostanza, grava sia il dovere di informazione che quello di dissuasione. Così ha sancito la sesta sezione civile della Cassazione, con la sentenza n. 9695/2016 (qui sotto allegata), confermando le decisioni di merito che dichiaravano risolto il contratto professionale intercorso tra un avvocato e la sua assistita, condannando il primo a restituire il compenso riscosso.
A nulla sono valsi i tentativi di difesa del legale che asseriva che la cliente aveva prestato un "consapevole consenso" all'avvio della causa (il cui fine era solo quello di sollecitare una transazione con la controparte).
Di fronte ad una causa totalmente priva di fondamento, precisano gli Ermellini, l'avvocato avrebbe dovuto dimostrare non solo di aver adempiuto l'obbligo di "non consigliare azioni inutilmente gravose e di informare il cliente sulle caratteristiche della controversia e sulle possibili soluzioni" ma altresì di avere ottemperato al proprio dovere di dissuasione.
Tale prova nella vicenda era mancata. Per di più, come evidenziato dal giudice d'appello, "anche a voler ammettere che l'avvocato possa patrocinare una "causa persa" a fronte di una "irremovibile iniziativa del cliente", nel caso specifico era palese, secondo la stessa ricostruzione del legale, che non fu la cliente ad insistere, benché dissuasa, per la proposizione della domanda completamente priva di fondamento. Da qui, il rigetto del ricorso.
Vedi anche: La responsabilità professionale dell'avvocato. Un'anno di pronunce della Cassazione - Con raccolta di articoli e sentenze
Cassazione, sentenza n. 9695/2016
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