Come le più recenti pronunce della giurisprudenza hanno ridimensionato, e in certi casi azzerato, l'istituto assistenziale

Avv. Laura Bazzan - In sede di separazione, all'obbligo di assistenza morale e materiale imposto reciprocamente ai coniugi durante il matrimonio, si sostituisce il dovere di contribuire economicamente al mantenimento del coniuge privo di adeguati redditi propri.

La somma di denaro, da corrispondersi su specifica domanda del coniuge al quale non sia addebitata la separazione, viene commisurata in considerazione dei mezzi dell'onerato e dei bisogni del richiedente.

L'istituto del mantenimento, pertanto, trova la sua ratio nella tutela del coniuge economicamente più debole, mirando a garantirgli lo stesso tenore di vita goduto in costanza di matrimonio.

Che per molto tempo la giurisprudenza abbia inteso operare un'identificazione pressoché totale tra la nozione di coniuge economicamente debole e quella di moglie emerge sintomaticamente dai numerosi provvedimenti di legittimità e di merito con i quali è stato onerato del mantenimento anche l'ex-marito rimasto senza lavoro (cfr. Cass. civ. 12125/1993) e lo stesso mantenimento è stato disposto in favore della ex-moglie in grado di svolgere attività lavorativa, seppur precaria (cfr. Trib. Padova 21.03.2003).

Del pari, in caso di addebito della separazione al marito, la sola capacità lavorativa della moglie, in assenza di prova di rifiuto di occasioni di reddito da lavoro da parte di quest'ultima, è stata da sola ritenuta elemento non idoneo a negare l'assegno in suo favore (cfr. Cass. civ. 12121/2004) e, se prima della separazione i coniugi avevano concordato che uno di essi non lavorasse, l'efficacia ultrattiva riconosciuta a tale accordo è stata posta alla base del diritto alla moglie di ricevere il mantenimento anche successivamente (cfr. Trib. Novara 07.09.2009).

Tale orientamento, tuttavia, è stato recentemente posto in discussione da alcune decisioni che hanno intaccato il dogma del mantenimento e con esso l'automatica equiparazione tra moglie e soggetto economicamente più bisognoso (leggi in merito: "Niente assegno all'ex moglie se può andare a lavorare"; "Cassazione: se la donna è in grado di lavorare può dire addio al mantenimento" e ancora "Mantenimento: niente assegno all'ex moglie che non lavora per pigrizia")

Il "revirement" della giurisprudenza

La strada imboccata dalla recente giurisprudenza, soprattutto di legittimità, è quella di un maggiore rigore nel riconoscimento del diritto all'assegno di mantenimento.

In particolare, per la recente Cassazione, occorre una valutazione dell'attitudine di ciascun coniuge a procurarsi degli introiti, e il mantenimento in favore della ex-moglie non può essere disposto in assenza di impossibilità oggettiva in capo alla stessa di procurarsi mezzi adeguati per conseguire un tenore di vita analogo a quello goduto durante il matrimonio mentre svolgeva mansioni di casalinga (cfr. Cass. civ. 11870/2015; nello stesso senso Cass. n. 24324/2015).

Se poi, in caso di relazione extraconiugale della moglie benestante, questa non provi la mancanza del nesso eziologico tra l'infedeltà e la sopravvenuta intollerabilità della convivenza, sarà essa stessa a vedersi addebitare la separazione con obbligo dover corrispondere il mantenimento all'ex-marito (cfr. Cass civ. 10823/2016).

Del medesimo avviso anche la giurisprudenza di merito, che ha negato il diritto al mantenimento per la donna il cui ex-marito si trovi a dover pagare le rate del mutuo della casa coniugale assegnatale e a sostenere al contempo le spese di un nuovo alloggio per sé (cfr. Trib. Roma 31.05.2016) e ha escluso, in sede di cessazione degli effetti civili del matrimonio, il diritto all'assegno divorzile per l'ex-moglie lavoratrice, già beneficiaria del mantenimento al tempo della separazione, che nel frattempo abbia intrapreso una convivenza stabile con altra persona, quando l'ex marito sia stato licenziato dal posto di lavoro (cfr. Trib. Napoli 23.03.2016).


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