di Valeria Zeppilli - Quando si decide di intraprendere una causa per far valere i propri diritti, si deve essere consapevoli che l'esito può essere positivo o negativo e che in quest'ultimo caso non è possibile prendersela con l'avvocato che ci ha assistito.
Con la sentenza numero 11906/2016, depositata il 10 giugno scorso e qui sotto allegata, la Corte di Cassazione ha a tal proposito chiarito quando un legale è responsabile dell'esito infausto di una controversia e quando invece non lo è.
Più nel dettaglio, per i giudici l'avvocato risponde nei confronti del proprio cliente quando il suo comportamento è stato incurante o posto in essere con ignoranza delle disposizioni di legge e, più in generale, quando egli ha compromesso il buon esito del giudizio per negligenza o imperizia.
Diversamente, non è possibile ottenere alcunché dall'avvocato a titolo di risarcimento danni per esito negativo del giudizio quando questo sia derivato dall'interpretazione delle leggi o di questioni opinabili. Chiaramente, a meno che non si riesca a dimostrare che il comportamento del legale sia stato dettato da dolo o colpa grave.
Nel caso di specie, il cliente pretendeva che l'avvocato lo rimborsasse del prezzo pagato per acquistare una roulotte che, tuttavia, non gli era mai stata consegnata contestando al legale il fatto che egli, nel relativo giudizio, aveva modificato le conclusioni originarie all'ultima udienza di primo grado e, in seguito, non aveva proposto appello incidentale per l'accoglimento dell'originaria domanda di risoluzione del contratto e restituzione del prezzo.
Nel giudizio di responsabilità, tuttavia, il giudice del merito aveva correttamente verificato che il comportamento del convenuto professionista era stato guidato dalla "diligenza media richiesta ad un avvocato civilista in una situazione sostanziale e processuale quale quella oggetto di controversia".
E per la Cassazione tale interpretazione va confermata: l'imperizia professionale, infatti, va correttamente esclusa ogni qual volta (come nel caso di specie) in giudizio siano poste questioni che presentano margini di opinabilità tali da rendere giuridicamente plausibili le scelte compiute dal patrocinatore che poi abbiano condotto alla soccombenza del cliente.
Senza dimenticare che l'obbligazione dell'avvocato è di mezzi e non di risultato, la sua responsabilità presuppone insomma una violazione della diligenza professionale media esigibile ai sensi dell'articolo 1176, secondo comma, c.c. che nel caso di specie non si è verificata.
Corte di cassazione testo sentenza numero 11906/2016