di Lucia Izzo - Va condannato per il reato di patrocinio infedele l'avvocato che non prova di aver citato i propri testi, specie se poi non compare all'udienza in cui questi devono essere escussi, poiché il suo comportamento non permette di sostenere le ragioni del cliente e di perorare la causa a sua favore.
E' quanto emerge da una sentenza della Corte di Cassazione (sesta sezione penale n.27394/2016 qui sotto allegata), che ha confermato la condanna di un avvocato a un anno di reclusione e 516,00 euro di multa, oltre al risarcimento dei danni a favore della parte civile, per il reato di cui all'art. 380, primo comma cod. pen. per essersi reso infedele ai doveri professionali non producendo prova della rituale citazione dei propri testi, non comparendo a un'udienza e non producendo alcun documento utile a sostenere la tesi del proprio assistito, il tutto in una causa di lavoro promossa dalla parte civile.
Per effetto delle assenze e delle omissioni dell'imputato, la parte dallo stesso rappresentata aveva infatti perso la possibilità di far valere in giudizio le sue ragioni e, conseguentemente, anche la causa intentata.
Inutile per l'avvocato impugnare la sentenza della Corte d'Appello, ogni suo motivo è destituito di fondamento dagli Ermellini, i quali precisano che il reato di cui all'art. 380 del codice penale è reato a forma libera, che si consuma attraverso qualsiasi azione od omissione che costituisca una infedeltà ai doveri professionali e che produca un danno agli interessi della parte rappresentata.
La Corte di Appello ha adeguatamente dato conto, nella motivazione della sentenza, delle condotte che hanno dato sostanza alla contestazione, rinvenendole, sulla base delle dichiarazioni della persona offesa riscontrate dalla produzione documentale, nella circostanza che l'avvocato dopo essere comparso alla prima udienza, non aveva più partecipato al processo dato che non era comparso nelle udienze successive e si era fatto addirittura sostituire in una di queste da persona non legittimata a stare in udienza.
Ancora, all'udienza nel corso della quale il l'avvocato/imputato, come ordinato dal Giudice in precedente udienza, avrebbe dovuto depositare l'atto di citazione testi, si era presentato il solo sostituto senza alcun atto di citazione così che era stata pronunciata, su istanza della controparte, la decadenza dalla prova testimoniale.
Infine, anche alla udienza fissata per conclusioni ancora non si presentava il ricorrente che non si presentava nemmeno alla successiva quando la vertenza veniva decisa in senso sfavorevole per il cliente dell'imputato.
I giudici di Cassazione evidenziano che, già a fronte della notizia del provvedimento di decadenza pronunciato dal Giudice, l'imputato non si era attivato per chiederne la revoca e, come si è visto, non si era presentato alle due udienze successive per discutere comunque la causa.
A nulla rileva che il competente COA avesse emesso un provvedimento di sostanziale assoluzione del legale, dato che, come si è trattato di atto avente ad oggetto esclusivamente i profili disciplinari e direttamente riferito alla non definitività della decisione adottata dal Giudice, dato che l'ordinanza che aveva pronunciato la decadenza dalla prova poteva essere revocata e la sentenza poteva essere appellata, mentre l'accertamento giudiziale penale doveva essere esteso a valutare detti comportamenti nella prospettiva della realizzazione del fatto materiale di cui all'art. 380 cod. pen. nella sua lata estensione sopra ricordata.
Neppure coglie nel segno la doglianza secondo cui non si sarebbe prodotto alcun danno: infatti, a causa delle assenze e omissioni del ricorrente, il cliente ha perso sia la possibilità di far valere in giudizio le sue ragioni e, conseguentemente anche la causa intentata; non vi sarebbe alcun errore del giudice, come addotto dal legale poichè il danno costitutivo del reato e che ne segnava il momento consumativo si era già interamente concretato con la perdita della possibilità di audizione dei testi che dovevano essere assunti durante quella udienza e quindi con la perdita della possibilità di far valere quel giorno le specifiche ragioni della parte.
Cass., sesta sezione penale, sent. 27394/2016• Foto: 123