di Lucia Izzo - La scriminante dell'immunità giudiziaria prevista dall'art. 598 del codice penale, concerne la non punibilità delle "offese contenute negli scritti presentati o nei discorsi pronunciati dalle parti o dai loro patrocinatori nei procedimenti dinanzi all'Autorità giudiziaria ... quando le offese concernono l'oggetto della causa...". In caso di espressioni diffamatorie, dunque, occorre verificare se le stesse siano finalizzate o meno all'esercizio del diritto di difesa.
Nessuna scriminante vi può essere quando le espressioni utilizzate esulino completamente dall'oggetto del contendere.
E' quanto evidenza la Corte di Cassazione, quinta sezione penale, nella sentenza n. 29208/2016 (qui sotto allegata).
Dinanzi alla Corte è stata impugnata una sentenza con cui il Tribunale in funzione di giudice di appello aveva dichiarato non doversi procedere per prescrizione nei confronti di una donna, per il reato di diffamazione nei confronti del legale del suo ex marito, che aveva tuttavia confermato la condanna al risarcimento del danno ed alle spese.
Dalla sentenza impugnata risulta che, nell'ambito di una causa avente ad oggetto l'affidamento ed il mantenimento dei figli minori dell'imputata e del marito, la donna depositò un reclamo al Giudice tutelare con allegati più documenti, aventi natura di esposto, da essa stessa redatti ed indirizzati a varie Autorità, che riguardavano anche la figura professionale, e non solo, dell'avvocato di controparte.
Dalla decisione emerge altresì che alcuni documenti allegati al ricorso depositato al Giudice tutelare, di identico contenuto, erano già stati inviati a varie autorità amministrative, giurisdizionali e giudiziarie.
Da essi si ricava che l'imputata aveva, tra l'altro, accusato l'avvocatessa di aver prodotto documenti falsificati al Tribunale, di aver inventato di sana pianta alcuni dei fatti dedotti in causa, esplicitamente attribuendole scorrettezze professionali e reati.
In Cassazione, il difensore dell'imputata lamenta, tuttavia, che la Corte territoriale avrebbe mal governato la scriminante di cui all'art 598 c.p., poiché dalle emergenze del processo era chiara la necessaria correlazione tra le accuse mosse alla persona offesa e le tematiche giudiziarie del procedimento in cui furono rese, nonché la loro attinenza con i fatti che ne erano oggetto.
La motivazione dei giudici di merito, rilevano gli Ermellini, ha dato conto di altre manifestazioni offensive nei confronti del legale, giudicate completamente slegate dal contesto giurisdizionale, ed inerenti a suoi presunti negativi comportamenti in qualità di genitore, meritevoli di essere segnalati ai servizi sociali, oltre che di condotte da avvocato senza scrupoli, indecorose per la sua professione di legale, tali da invocarne la cacciata dall'Ordine
A tal proposito, il collegio richiama il solido orientamento giurisprudenziale secondo il quale "ai fini della scriminate ex art 598 c.p., invocata dal ricorrente, è necessario che le espressioni offensive siano direttamente collegate ai temi di causa, strettamente inerenti le necessità difensive e non dirette esclusivamente a screditare il contraddittore".
L'applicabilità della scriminante di cui all'art. 598 c.p., quindi, presuppone che le espressioni offensive concernano in modo diretto ed immediato l'oggetto della controversia, rilevino ai fini delle argomentazioni poste a sostegno della tesi prospettata e siano adoperate in scritti o discorsi dinanzi all'autorità giudiziaria.
All'imputata non può essere riconosciuta la scriminante della cosiddetta immunità giudiziaria, posto che con i documenti depositati aveva gratuitamente offeso il legale della controparte, con un reclamo non direttamente collegato ai temi di causa, esorbitante dalle necessità difensive e diretto solo a screditare la figura professionale della persona offesa.
Documenti che la stessa ha anche trasmesso ad altre autorità, ed infatti i Giudici del Collegio rammentano il principio secondo l'esimente di cui all'art. 598 c.p., funzionale al libero esercizio del diritto dì difesa, è circoscritta all'ambito del giudizio ordinario od amministrativo nel corso del quale le offese siano proferite, a condizione che siano pertinenti all'oggetto della causa o del ricorso amministrativo, con la conseguenza che essa non è applicabile qualora le espressioni offensive siano divulgate in altra sede.
Corretta, pertanto, la motivazione della sentenza impugnata, che ha posto in luce che i documenti ritenuti diffamatori erano stati inviati anche ad autorità estranee al processo civile tra le parti e per scopi che chiaramente esulavano dall'esercizio del diritto di difesa.
Alla luce di tali considerazioni il ricorso deve essere rigettato e la ricorrente va condannata al pagamento delle spese processuali nonchè, per il principio della soccombenza, alla refusione delle spese in favore della parte civile.
Cass., V sez. pen., sent. n. 29208/2016