di Valeria Zeppilli - Occupare abusivamente delle aree appartenenti a privati non necessariamente comporta una condanna penale: lo stato di necessità, infatti, può fungere da scriminante.
Così, nella sentenza numero 29834/2016 del 14 luglio (qui sotto allegata), la Corte di cassazione ha di fatto aperto le porte alla "legittima" creazione di un campo rom in un'area privata.
L'attenzione dei giudici di legittimità, in particolare, si è concentrata su una pronuncia della Corte d'appello di Milano che aveva confermato la condanna di un gruppo di nomadi per il reato di invasione di terreni ed edifici e per danneggiamento aggravato.
Per il giudice del merito, più nel dettaglio, nel corso del processo era stato provato che gli imputati avevano occupato abusivamente un'area costituita da un terreno e un fabbricato appartenenti a una società privata per insediarvisi stabilmente e, così facendo, avevano anche danneggiato la recinzione e i cartelli che impedivano agli estranei l'accesso sul predetto luogo.
I rom, tuttavia, avevano tentato di giustificare il loro comportamento, in particolare quello incriminato per abusiva occupazione, facendo leva sulle loro condizioni disagiate e sull'esigenza di trovare alloggio a donne e bambini. Tali circostanze, più precisamente, avrebbero dovuto escludere l'antigiuridicità del loro comportamento ai sensi dell'articolo 54 del codice penale, ovverosia in forza della scriminante dello stato di necessità.
E dato che il giudice di secondo grado non aveva assecondato tale richiesta né aveva motivato in ordine ad essa, i nomadi hanno deciso di rivolgersi alla Cassazione. Che ha lasciato loro qualche speranza.
Per la Corte, in effetti, la scriminante dello stato di necessità con riferimento al reato di occupazione abusiva aveva formato oggetto di un motivo specifico di appello sul quale la corte territoriale aveva quindi illegittimamente omesso di pronunciarsi. Mentre per il danneggiamento non c'è nulla da fare, la condanna per il reato di cui all'articolo 633 del codice penale va rivalutata, tenendo conto di quanto previsto dall'articolo 54. Parola dunque al giudice del rinvio.
Corte di cassazione testo sentenza numero 29834/2016• Foto: 123rf.com