di Valeria Zeppilli - Quando un lavoratore pubblico si assenta dal lavoro per malattia deve tempestivamente attivare il procedimento che, dopo che sia stato accertato il suo stato di salute, si conclude con l'inoltro da parte dell'Inps della certificazione medica al datore di lavoro.
Ma se egli non vi provvede e si assenta ingiustificatamente dal lavoro, il licenziamento per giusta causa è sempre giustificato? Per la Corte di cassazione no.
Con la sentenza numero 18858/2016, depositata il 26 settembre e qui sotto allegata, i giudici di legittimità hanno infatti ribadito che, specie quando si tratta della massima sanzione, non è possibile alcun automatismo nell'irrogazione di sanzioni disciplinari.
Del resto la giusta causa di licenziamento si ha solo quando vi è una grave negazione dell'elemento fiduciario del rapporto di lavoro e il suo esame non può prescindere da un'attenta valutazione della gravità dei fatti (che tenga in debito conto la loro portata sia oggettiva che soggettiva, le circostanze nelle quali sono stati commessi e l'intensità del profilo intenzionale) e dalla sussistenza di proporzionalità tra questi e la sanzione inflitta.
Insomma: "la giusta causa di licenziamento integra una clausola generale, che richiede di essere concretizzata dall'interprete tramite valorizzazione dei fattori esterni relativi alla coscienza generale e dei principi tacitamente richiamati dalla norma".
Nel caso sottoposto all'attenzione della Corte, il giudice del merito non aveva tenuto in debito conto il fatto che la visita fiscale era intervenuta poco tempo dopo la comunicazione della malattia al datore di lavoro e che quest'ultima era risultata effettivamente sussistente.
Tali circostanze concrete, invece, avrebbero dovuto influenzare il giudizio sulla legittimità della sanzione espulsiva, quanto meno attraverso un'analisi della proporzionalità fondata su una loro adeguata considerazione.
L'aver giudicato legittimo il recesso per giusta causa intimato ad un lavoratore solo a causa della mancata trasmissione del certificato medico è, quindi, una conclusione non condivisibile: la Corte d'appello di Bologna deve tornare sull'argomento.
Corte di cassazione testo sentenza numero 18858/2016