di Lucia Izzo - Il brutto carattere? Non è un illecito che giustifica il licenziamento, parola di Cassazione. Con la sentenza n. 18418/2016 (qui sotto allegata) la sezione lavoro ha confermato la condanna emessa nei confronti dell'azienda tesa a reintegrare nel posto di lavoro un dipendente nonché a corrispondergli un'indennità risarcitoria.
Il giudice a quo aveva accolto, infatti, la domanda di illegittimità del licenziamento proposta dal lavoratore, il cui rapporto era cessato, tra l'altro, a causa dei suoi modi litigiosi e maleducati nei rapporti con il personale che egli aveva il compito di formare.
Inutile per l'azienda dedurre che la sentenza impugnata, ritenendo provati i fatti contestati, abbia applicato la tutela reintegratoria senza considerare che la legge n. 90/2012 prevedeva la sanzione "forte" della reintegra solo in caso di insussistenza del fatto contestato, mentre il giudice avrebbe dovuto limitarsi a una sanzione indennitaria qualora il giudice avesse ritenuto che il fatto contestato, pur sussistente, non fosse tale da integrare la causa legittimante il licenziamento.
Di diverso parare gli Ermellini, concordi con il giudice di merito: non può escludersi la reintegrazione sul posto di lavoro per il solo fatto che si è realizzato il comportamento contestato, poichè è altresì necessario verificare se il fatto sia o meno illecito.
La sentenza impugnata, in realtà, risulta in linea con quanto affermato in materia (Cass. 13.10.2015 n. 20540), e cioè che l'insussistenza del fatto contestato, di cui all'art. 18 st. lav. (come modificato dall'art. 1, comma 42, della L. n. 92 del 2012) comprende l'ipotesi del fatto sussistente, ma privo del carattere di illiceità, sicché in tale ipotesi si applica la tutela reintegratoria, senza che rilevi la diversa questione della proporzionalità tra sanzione espulsiva e fatto di modesta illiceità.
In altre parole, l'assenza di illiceità di un fatto materiale pur sussistente, deve essere ricondotto all'ipotesi, che prevede la reintegra nel posto di lavoro, dell'insussistenza del fatto contestato, mentre la minore o maggiore gravità (o lievità) del fatto contestato e ritenuto sussistente, implicando un giudizio di proporzionalità, non consente l'applicazione della tutela cd. reale.
Nella specie la sentenza impugnata ha accertato la sostanziale non illiceità dei fatti addebitati e tale accertamento non ha formato oggetto di adeguata censura ad opera della ricorrente. Deve peraltro chiarirsi che non può ritenersi relegato al campo del giudizio di proporzionalità qualunque fatto (accertato) teoricamente censurabile, ma in concreto privo del requisito di antigiuridicità, non potendo ammettersi che per tale via possa essere sempre soggetto alla sola tutela indennitaria un licenziamento basato su fatti (pur sussistenti, ma) di rilievo disciplinare sostanzialmente inapprezzabile.
Cass., sezione lavoro, sent. 18418/2016• Foto: 123rf.com