Per la Cassazione spetta al giudice stabilire se l'allontamento dall'abitazione violi gli obblighi di buona fede e correttezza chiesti al dipendente

di Lucia Izzo - Spetta al giudice di merito stabilire se l'allentamento dalla propria abitazione del lavoratore assente per malattia configuri o meno violazione degli obblighi di buona fede e correttezza del dipendente, volti a consentire l'esercizio del potere di controllo attribuito al datore di lavoro dall'art.  della L. n. 300/70: il giudice dovrà tener presente che l'interesse del datore di lavoro a tale controllo va contemperato con l'esigenza di libertà del lavoratore.


La violazioni di detti obblighi, se accertata, legittima il licenziamento per giusta causa solo se, valutata non solo nel suo contenuto oggettivo, ma anche nella sua portata soggettiva e in relazione alle circostanze del caso concreto, appaia meritevole della massima sanzione espulsiva avuto riguardo al principio di proporzionalità stabilito dall'art. 2106 del codice civile.

Lo ha stabilitola Corte di Cassazione, sezione lavoro, nella sentenza n. 20210/2016 (qui sotto allegata).


Il dipendente di una s.r.l. era stato licenziato in quanto, assente per malattia, era emerso, sulla base dell'attività investigativa espletata dal datore di lavoro, che si era spostato ripetutamente dalla sua abitazione, talvolta utilizzando addirittura l'automobile o un motociclo, nonostante l'asserita impossibilità di deambulazione e trasferimento extradomestico.


Nonostante il datore giustificasse il licenziamento ritenendo tale comportamento simulazione della denunciata malattia e, comunque, inadeguato poichè fattore di aggravamento della patologia e ritardo della guarigione, per i giudici di merito il provvedimento espulsivo doveva ritenersi illegittimo, con la condanna dell'azienda a reintegrare il dipendente e a risarcirgli il danno.


Per la Corte territoriale, infatti, gli accertamenti investigativi disposti da parte datoriale, si riferivano agli ultime tre giorni della malattia durata due mesi, nel corso dei quali il lavoratore era stato sempre trovato a casa in occasione di sei visite di controllo. Il dipendente, inoltre, era regolarmente rientrato al lavoro alla scadenza indicata nell'ultimo certificato medico


Ad avviso dei giudici d'appello, quindi, non vi era alcuna prova che il comportamento del dipendente avesse prodotto effetti pregiudizievoli, essendovi anzi la prova del contrario, né sussistevano sufficienti elementi per ritenere, sia pure in via presuntiva, che la malattia fosse stata simulata e che, pertanto, il fatto addebitato potesse costituire violazione di un qualche obbligo gravante sul lavoratore, così da influire sulla prosecuzione del rapporto.


Per gli Ermellini, la ricostruzione operata dalla Corte di merito appare condivisibile poichè la condotta del lavoratore che, in ottemperanza delle prescrizioni del medico curante, si è allontanato dalla propria abitazione e abbia ripreso a compiere attività della vita privata (la cui gravosità non è comparabile a quelle di un'attività lavorativa piena), senza svolgere ulteriori attività, non è idonea a configurare un inadempimento ai danni dell'interesse de datore di lavoro.


Non è, inoltre, il lavoratore a dover provare, a ulteriore conferma della certificazione medica, la perdurante inabilità temporanea rispetto all'attività lavorativa, ma anzi è a carico del datore dimostrare che, in relazione alla natura degli impegni lavorativi attribuiti al dipendente, il suddetto comportamento contrasti con gli obblighi di buona fede e correttezza nell'esecuzione del rapporto di lavoro. Se si pretendesse la costante presenza domiciliare del diretto interessato, infatti, non avrebbero alcun senso le fasce orarie di reperibilità per le visite di controllo. 


Infine, l'assenza del lavoratore dalla propria abitazione durante la malattia, può integrare anche un adempimento sanzionabile con una sanzione disciplinare, ove la condotta del dipendente importi anche la violazione di obblighi derivanti dal contratto di lavoro, ma non integra di per sé un inadempimento sanzionabile con il licenziamento, ove il giudice del merito motivatamente ritenga che la cautela della permanenza in casa (benchè prescritta dal medico) non sia necessaria al fine della guarigione e della conseguente ripresa lavorativa.

Cass., sezione lavoro, sent. n. 20210/2016

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