di Lucia Izzo - Il coniuge che ha prelevato i soldi dal conto corrente cointestato, se non prova che sono stati spesi per esigenze della famiglia o della comunione, deve essere condannato a restituirli una volta che la comunione venga sciolta; irrilevante che il CTU non abbia rilevato il trasferimento dei fondi su un conto intestato al coniuge stesso, perchè tale circostanza non autorizza a presumere che il denaro sia stato utilizzato per le esigenze della comunione.
Lo ha disposto la Corte di Cassazione, seconda sezione civile, nella sentenza n. 20457/2016 (qui sotto allegata) accogliendo il ricorso incidentale proposto dal marito separato nei confronti della moglie.
La Corte d'Appello aveva condannato la donna a rimborsare il 50% delle movimentazioni praticate sul conto corrente cointestato, ritenendo che non poteva escludersi che parte di quelle attuate mediante assegni tratti in proprio favore e ordini di prelievo rivolti alla banca, fossero finalizzate a spese sostenute nell'interesse della comunione legale e della famiglia.
Ciononostante, il marito assume che in assenza di prova dell'utilizzo delle somme per esigenze comuni e familiari, il giudice di merito non avrebbe potuto ordinare il rimborso solo della metà del denaro. Una doglianza accolta dagli Ermellini, che evidenziano come la sentenza impugnata aveva finito con l'invertire l'onere probatorio.
Si deve infatti ritenere, precisa il collegio, che a fronte di prelevamenti da parte di un coniuge di somme di pertinenza della comunioni (quali, nel caso di specie, quelle giacenti sul conto corrente intestato alla coppia), competa al coniuge che abbia effettuato le operazioni o che alleghi di aver impiegato gli importi prelevati nell'interesse della comunione o della famiglia, dimostrare quest'ultima circostanza.
Ciò perchè tale fatto si atteggia come impeditivo dell'obbligazione restitutoria e anche in quanto la ripartizione dell'onere della prova deve tener conto, oltre che della distinzione tra fatti costitutivi e fatti estintivi o impeditivi del diritto, anche del principio della riferibilità o vicinanza o disponibilità dei mezzi di prova.
Se, quindi, il coniuge che ha effettuato il prelievo assume, senza provarlo, che esso è finalizzato a soddisfare esigenze della famiglia o della comunione, la domanda restitutoria deve essere accolta. Inoltre, l'affermazione della Corte di merito secondo cui non è possibile escludere che parte dei prelievi sia stata effettivamente usata per quello scopo, non appare idonea neppure a fondare una presunzione sorretta da elementi indiziari gravi, precisi e concordanti.
Il giudice avrebbe dovuto esplicitare il ragionamento presuntivo sulla scorta di un criterio probabilistico, precisando da quali fatti noti ricavasse, secondo verosimiglianza, quelli ignoti. Il fatto che il consulente tecnico non abbia contestato il trasferimento di fondi su conti intestati alla sola ricorrente non implica, per ciò solo, che essi siano stati impiegati per necessità familiari.
La sentenza va cassata con rinvio.
• Foto: 123rf.com